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"Califfo", quattro assoluzioni e pene ridimensionate

REGGIO CALABRIA Quattro clamorose assoluzioni e diverse rideterminazioni di pena. Esce parzialmente ridimensionata dal processo di secondo grado l’inchiesta Califfo, che ha stretto il cerchio attorno…

Pubblicato il: 06/05/2016 – 15:12
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"Califfo", quattro assoluzioni e pene ridimensionate

REGGIO CALABRIA Quattro clamorose assoluzioni e diverse rideterminazioni di pena. Esce parzialmente ridimensionata dal processo di secondo grado l’inchiesta Califfo, che ha stretto il cerchio attorno a capi, gregari e prestanome della cosca Pesce di Rosarno. Escono assolti da ogni accusa Danilo D’Amico, Francescantonio Muzzupappa, Giuseppe Rao e Francesco Antonio Tocco, in passato tutti condannati a 13 anni e 4 mesi. Passa invece da 18 a 10 anni di reclusione la pena inflitta a Giuseppe Pesce, considerato elemento di vertice dell’omonimo clan, mentre dovranno scontare 10 anni in luogo dei 14 e 8 mesi precedentemente rimediati Biagio Delmiro e Saverio Marafioti. Una rideterminazione della pena arriva anche per Ilenia Bellocco, moglie di Giuseppe Pesce, condannata a scontare 9 anni e 6 mesi al posto dei 12 cui era stata in precedenza condannata. Nove anni dovrà invece scontare Rocco Messina, in precedenza condannato a 13 anni e 4 mesi, mentre è di 9 anni e 6 mesi la pena inflitta a Domenico Sibio, in passato punito con 14 anni. Infine, rimedia 3 anni e 6 mesi, al posto dei 5 precedentemente incassati, Domenico Fortugno, mentre scende a 2 anni con pena sospesa la condanna decisa per per Maria Carmela D’Agostino, Demetrio Fortugno e Maria Grazia Spataro.
Nata dal ritrovamento di un pizzino, scritto in carcere dal reggente del clan Francesco Pesce “u Testuni” due giorni dopo l’arresto, l’indagine ha permesso di identificare la struttura destinata a preservare l’operatività del clan, dopo gli arresti che ne avevano assottigliato le fila. Ed erano quattro le direttive impartite dal boss. Nella prima passava il comando della cosca al fratello Giuseppe, affiancandogli sei uomini di fiducia, nella successiva ordinava a Biagio Delmiro di consegnare a una donna una somma di denaro da prelevare da una società riconducibile a Domenico Fortugno, quindi di affiliare formalmente un soggetto non ancora identificato, e infine di destinare una cospicua somma di denaro al mantenimento della famiglia. Direttive che gli uomini del clan non hanno mai eseguito, perché quel pizzino – mai arrivato nelle loro mani – per inquirenti e investigatori si è trasformato nella mappa per arrivare agli uomini del clan. E non solo. Fra i principali imputati alla sbarra, oggi condannati, c’è anche la giovanissima, ma altrettanto potente e pericolosa Ilenia Bellocco, moglie di Giuseppe Pesce e figlia di Umberto Bellocco, per gli inquirenti erede dello scettro del comando sul clan dopo l’arresto del marito. Consapevole e fiera dell’autorità criminale del proprio lignaggio, “Velenia” – così l’hanno soprannominata inquirenti e investigatori – sarebbe riuscita a imporre la propria autorità agli uomini del clan con un carattere duro e la propensione a non fare sconto alcuno. Il suo – dice la Dda – non era un ruolo ancillare. Al contrario, per la procura, il suo era un fondamentale ruolo di «collegamento e trasferimento di comunicazioni e ordini tra il latitante Pesce Giuseppe (classe 80) e gli altri affiliati operanti sul territorio.

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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