CATANZARO È il prodotto di un blackout amministrativo il pastrocchio che si consuma sul controricorso presentato dell’Avvocatura regionale contro le azioni giudiziarie dei Comuni sul piede di guerra per il decreto di riordino della rete ospedaliera calabrese. Sul banco degli imputati ci sono il dipartimento Salute e quello che fa riferimento all’Avvocatura, tanto. Mario Oliverio, finito al centro dell’ennesima bufera, non ha intenzione di fermarsi e a fine giornata annuncia «l’immediata rotazione dei dirigenti regionali all’interno del dipartimento “Tutela della salute”, nonché la sostituzione del coordinatore dell’Avvocatura regionale (Benito Spanti, ndr)». Al decimo piano della Cittadella il governatore presiede un vertice ad alta tensione, resosi necessario dopo che il Corriere della Calabria pubblica la notizia dell’iniziativa assunta dall’Avvocatura regionale. Al summit partecipano il consulente del presidente in materia sanitaria Franco Pacenza, il direttore generale Riccardo Fatarella e il vicepresidente della giunta Antono Viscomi.
Oltre due ore di discussione in cui si cerca di ricostruire nei dettagli cosa è accaduto e come si arriva alla presentazione di un controricorso al Tar Calabria che getta nel «più assoluto imbarazzo» i vertici della giunta. Ciò che appare evidente è che il pool di legali che lavora per conto della Regione ha agito su input del dipartimento Salute. Già, ma chi è stato a passare la “velina” sulla base della quale è stato predisposto il controricorso? Gli indizi raccolti porterebbero a una dirigente di settore in forza presso il dipartimento Salute. Sarebbe stata lei a trasmettere alla struttura commissariale che governa la sanità calabrese, «nonostante sulla relazione mancasse – spiega il dg Fatarella – e un numero di protocollo», un parere sui ricorsi intentati dai Comuni contro il decreto 30. Da Palazzo Alemanni, poi, la relazione vergata dal dipartimento sarebbe stata fatta recapitare all’Avvocatura dello Stato (che difende gli interessi del commissario Scura) e a quella Regionale. È qui che si realizza il patatrac che porta alla stesura formale del controricorso. Già, perché i responsabili della struttura danno esecuzione al provvedimento nonostante la relazione fosse arrivata dalla struttura commissariale e non da quella che fa riferimento al dg Fatarella.
Fin qui la ricostruzione offerta a Oliverio nel corso del vertice. Nella nota ufficiale diramata dall’ufficio stampa si assicura che «la Regione in coerenza con quanto affermato dal presidente Mario Oliverio, aderirà, formalmente e processualmente, alla richiesta di annullamento del decreto 30 del commissario “ad acta” per il “Piano di rientro” dal debito sanitario di approvazione della rete ospedaliera, avanzata davanti al Tar Calabria da numerosi comuni calabresi».
Le costituzioni in giudizio «sono il risultato di una serie di eventi e circostanze che evidenziano il maldestro tentativo di ribaltare la chiara e manifesta volontà del governo regionale, utilizzando, allo scopo, documenti né sottoscritti, né condivisi dal dirigente generale del dipartimento, impropriamente, da parte dell’ufficio del commissario a sostegno della legittimità del Dca (Decreto commissariale ad acta) numero 30». Da qui la decisione di portare tutta la vicenda all’attenzione della Procura della Repubblica «per ogni eventuale iniziativa». In ogni caso, gli eventi, «non modificano la volontà del presidente Oliverio e della giunta regionale di contestare, in ogni sede, la legittimità del decreto 30 che sarà ribadita, a partire dall’udienza di domani, davanti al Tar Calabria». Rimane il problema di capire il perché il presidente Oliverio ha dato formalmente mandato, firmando la procura a margine del ricorso, all’Avvocatura di intervenire nel senso “errato”. I casi sono due: o il governatore ha firmato senza leggere ovvero al suo posto ha firmato un’altra persona. Se così fosse, necessita un’accurata indagine sull’accaduto che concretizza un pericoloso precedente. Il tutto prescinde dalle “veline” che sarebbero passate da una scrivania a un’altra. Ciò in quanto le stesse tutt’al più rappresenterebbero giustificazioni istruttorie per gli avvocati e non già atti di giudizio.
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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