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Caso Scajola, lo 007 e le inedite richieste dell'ambasciatore

REGGIO CALABRIA «Non mi è sembrato né normale né opportuno l’interessamento dell’ambasciatore Giorgio Starace per il latitante Amedeo Matacena». Paolo Costantini è un ufficiale di rango e di esperien…

Pubblicato il: 17/11/2016 – 0:18
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Caso Scajola, lo 007 e le inedite richieste dell'ambasciatore

REGGIO CALABRIA «Non mi è sembrato né normale né opportuno l’interessamento dell’ambasciatore Giorgio Starace per il latitante Amedeo Matacena». Paolo Costantini è un ufficiale di rango e di esperienza. Cresciuto nelle file della Guardia di Finanza, per quasi due decenni è stato prestato all’intelligence. Ed era lui il capo centro Aise degli Emirati Arabi e del Qatar quando l’ex deputato Amedeo Matacena è stato arrestato a Dubai. Ed è stato lui a segnalare l’atteggiamento quanto meno inedito del capo della diplomazia italiana negli Emirati all’epoca dell’arresto dell’ex deputato.

RED FLAG Interrogato dal pm Giuseppe Lombardo, Costantino torna all’agosto 2013 per ripercorrere, passo passo, gli avvenimenti di quei giorni. Da allora sono passati tre anni, oggi – dice – è «un libero professionista», ma il suo racconto è preciso e senza sbavature. «L’arresto di Amedeo Matacena – ricorda – avviene in aeroporto. Vengo informato dai colleghi della polizia locale. Mi dicono che su di lui c’è una red flag, una bandiera rossa Interpol e su di lui faccio le dovute comunicazioni in centrale». Sebbene i servizi all’estero gravitino attorno alle ambasciate, i referenti erano a Roma ed è a loro che l’ex capocentro Aise fa rapporto sull’arresto di Matacena.

QUESTIONE APERTA Una vicenda chiusa, lineare per l’ex agente, che come di norma si è limitato a segnalare, senza fare ulteriori approfondimenti. «Per me la vicenda si chiude lì, anche perché nello stesso periodo c’erano altri latitanti che venivano monitorati», ricorda Costantini che all’epoca – nel periodo di massima tensione in Medio Oriente – aveva la responsabilità di monitorare un’area considerata ad alto rischio sia dal punto di vista militare, che finanziario. Ma si sbagliava. Il caso Matacena era tutto fuorchè archiviato.

LINEA ROSSA CON L’AMBASCIATORE «Venerdì, che negli Emirati è giorno festivo – racconta, ancora indignato – mi telefona l’ambasciatore, Giorgio Starace, il quale con un po’ di veemenza mi dice “ma è mai possibile che io devo venire a sapere dai giornali dell’arresto di un onorevole italiano?”». Il riferimento era all’arresto di Matacena, riguardo cui – riferisce Costantini -l’ambasciatore Starace ha chiesto all’ex 007 di dover essere informato su «come, quando, dove si trova, come viene trattato, etc etc». Una richiesta quanto meno inedita per Costantini, che mai era stato sollecitato a verificare le condizioni di latitanti o ricercati arrestati negli Emirati.

RICHIESTE INEDITE «La cosa – spiega infatti Costantini – mi lascia particolarmente perplesso – e lo manifesto – perché l’ex onorevole Matacena era stato colpito da ordine di rintraccio dell’Interpol in seguito ad una sentenza passata in giudicato. Per questo dico “Ambasciatore, il mio dovere è di fare in modo che venga assicurato alla giustizia italiana nel minor tempo possibile e non altro». Obiezioni inutili – racconta Costantini – perché dall’ambasciatore Starace – ricorda l’ex 007 – sono arrivate solo nuove pressioni. «Voleva che io mi interessassi per sapere dalle mie fonti in polizia se fosse detenuto, se fosse stato messo in libertà, se fosse in una cella o in una stanza d’albergo», ricorda Costantini, ma io – afferma – «non feci nulla di tutto questo».

TELEFONATE SU TELEFONATE Una reazione che probabilmente – aggiunge Costantini – ha «preso alla sprovvista» l’ambasciatore, che avrebbe tentato di giustificare il suo atteggiamento con «telefonante continue da Roma per relazionare sulla vicenda». Ma senza smettere di tartassare l’ex capocentro Aise di chiamate. Starace tuttavia non sarebbe stato l’unico a chiedere notizie di Matacena. Lo hanno fatto anche i collaboratori dell’ambasciata, « il console generale di Dubai, il primo segretario dell’ambasciata di Abu Dhabi, tutti rimarcando il fatto che l’ambasciatore fosse particolarmente adirato». Telefonate tutte riferite ai vertici dell’Aise, anche perché – spiega Costantini – «mai si era verificata una situazione simile».

RISTORANTE SCIVOLOSO Solo in un caso l’ambasciatore si era interessato di arresti. «A Dubai era ed è tuttora latitante un certo Nucera, persona legata a determinati clan di ‘ndrangheta in Liguria». Nonostante fosse stato colpito da un mandato di cattura internazionale, Nucera aveva aperto un ristorante ad Abu Dhabi e Starace «come faceva con tutte le iniziative imprenditoriali italiane» aveva partecipato all’inaugurazione «e fatto anche buona pubblicità». Uno slancio improvvido. «Io lo avvisai che Nucera non era esattamente uno stinco di santo, né lui , né la compagna», ricorda l’ex 007, ma solo «quando è arrivata in ambasciata l’ordinanza di custodia cautelare e la richiesta di estradizione, lui si è irrigidito», chiedendo di accelerare l’estradizione sollecitata dall’Italia.

IL PARADISO DEI LATITANTI Una richiesta impossibile da esaudire. Per i criminali – rammenta all’aula Costantini – «il posto migliore per svernare sono proprio gli Emirati, perché raramente concedono l’estradizione. Succede solo per reati di terrorismo, di armi e di stupefacenti. E succede più quando a sollecitarla sono Stati Uniti e Gran Bretagna, che quando a chiederlo sono altri Paesi». Una lezione che hanno imparato bene mafiosi e criminali di ogni genere che da tempo scelgono di trascorrere una latitanza dorata negli Emirati. I nomi? Top secret, nonostante le richieste delle difese.

PRESSIONI Di certo, spiega Costantini nessun rappresentante istituzionale si era speso tanto per uno di loro. A confermarlo all’ex capocentro Aise sono stati anche i suoi contatti nella polizia locale, che – riferisce – «a due settimane dall’arresto di Matacena, mi fanno sapere che c’erano state molte insistenze da parte dell’Italia, da un rappresentante delle istituzioni italiane. Io ho glissato, ma loro mi hanno fatto capire di non aver gradito le pressioni fatte da non so chi, per sapere in che situazione fosse Matacena».

NIENTE APPRODONDIMENTI Tutti dettagli troppo strani perché Costantini non li segnalasse ai vertici romani dell’Agenzia, ma che all’epoca non lo hanno indotto a fare accertamenti particolari sull’ex deputato latitante. «Non ho mai pensato che dietro Matacena ci fossero chissà quali disegni. L’intelligence in certi Paesi si dedica ad altre attività, non alla verifica del background o delle attività di particolari latitanti». D’altra parte, non avrebbe neanche avuto il tempo. «Nel gennaio 2014, a qualche mese dai fatti – ricorda – sono stato richiamato in centrale».

UNA MISTERIOSA BOCCIATURA Perché un ufficiale dalla folgorante carriera, cui era stata affidata la responsabilità di monitorare una delle zone più delicate del quadro mediorientale sia stato richiamato in fretta e furia a casa non è dato sapere. E se Costantini lo sa o lo immagina, non lo dice. Con il senno e le ricerche di poi però è riuscito a capire ruolo e peso di una serie di personaggi, segnalati negli Emirati proprio in quel periodo e tutti legati alla vicenda Matacena.

NOMI RICORRENTI C’è Francesco Bellavista Caltagirone, il cui nome salta fuori in un’indagine riservata e ancora coperta da segreto, che è riuscita ad allacciare una serie di insospettabili fili che portano a Dubai. C’è Vincenzo Speziali, imprenditore originario di Catanzaro, oggi anche lui latitante – ma in Libano – per aver aiutato Scajola a progettare la fuga di Matacena. Nel 2013 però Speziali è ancora un uomo libero, nessun mandato di cattura lo rincorre, ma è monitorato. «Vincenzo Speziali mi fu segnalato negli Emirati più o meno nello stesso periodo, nell’agosto-settembre 2013». Motivo? «Si accompagnava con un politico libanese, che era finito in un’indagine mirata a individuare le fonti di finanziamento del terrorismo».

COINCIDENZE Dalle carte de ll’indagine Breakfast, emerge che in quei mesi, Speziali era negli Emirati insieme all’ex presidente libanese Amin Gemayel. Lo stesso che – stando ad una lettera sequestrata a Scajola e finita agli atti dell’inchiesta – si sarebbe impegnato ad assicurare a Matacena una comoda latitanza in Libano. Collegamenti che Costantini all’epoca non ha potuto fare. Ma adesso iniziano a comporsi in un mosaico logico e coerente agli occhi del tribunale di Reggio Calabria.


Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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