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Due nuovi testimoni per l’omicidio di Gennaro Ventura

CATANZARO La corte d’Assise di Catanzaro ha ammesso il rito abbreviato condizionato nel processo che vede imputato Domenico Cannizzaro, boss dell’omonimo clan di Lamezia Terme, con l’accusa di esse…

Pubblicato il: 17/01/2017 – 16:57
Due nuovi testimoni per l’omicidio di Gennaro Ventura

CATANZARO La corte d’Assise di Catanzaro ha ammesso il rito abbreviato condizionato nel processo che vede imputato Domenico Cannizzaro, boss dell’omonimo clan di Lamezia Terme, con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Gennaro Ventura, fotografo scomparso nel nulla il 16 dicembre 1996. Del barbaro omicidio di Ventura, ex carabiniere tornato in Calabria per fare il fotografo insieme al padre e al fratello, si è autoaccusato, quale esecutore materiale, il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice che verrà giudicato con rito abbreviato a febbraio. Rito abbreviato condizionato all’escussione di due testi per Mimmo Cannizzaro, difeso dall’avvocato Lucio Canzoniere. La corte d’Assise martedì ha accolto l’istanza dell’avvocato di sentire la moglie e il cognato del pentito Pietro Paolo Stanges. Secondo il collaboratore, infatti, i due congiunti sarebbero persone informate sull’omicidio, mai sentite nel corso delle indagini. 



L’OMICIDIO Gli investigatori della Squadra Mobile di Catanzaro e del commissariato di Lamezia Terme hanno ricostruito il delitto del fotografo ed ex carabiniere Ventura grazie alle parole del collaboratore di giustizia Gennaro Pulice che si è addossato l’esecuzione dell’omicidio e ne ha spiegato anche il movente. «Il Ventura – ha raccontato Pulice al sostituto procuratore della Dda, Elio Romano, nel corso di un interrogatorio – aveva arrestato una persona dei Cannizzaro quando era carabiniere». Ventura, infatti, lavorava a Tivoli quando si è imbattuto in Raffaele Rao, cugino di Domenico Cannizzaro. Secondo la ricostruzione dei fatti, nel 1991 Ventura e un collega si stavano recando da un perito chimico del tribunale per consegnargli dello stupefacente da analizzare. Sulle scale avrebbero incrociato due uomini che uscivano, uno vestito da poliziotto e uno in borghese. Arrivati dal perito scoprirono che qualcuno lo aveva aggredito sottraendo al laboratorio una notevole quantità di sostanza stupefacente. Dopo una serie di indagini, in casa di Rao venne trovata la droga sottratta ai laboratori. Nel corso del processo Ventura e il suo collega testimoniarono inchiodando Rao per rapina e aggressione. Secondo il racconto di Pulice, i Cannizzaro «non se la tengono, come non se la sono tenuta per il fatto di Ventura che era un ex carabiniere».
Congedatosi dall’Arma e tornato a Lamezia Terme per intraprendere l’attività di fotografo insieme al padre e al fratello, Gennaro Ventura è stato individuato dalla cosca. Questo, secondo l’accusa, avrebbe decretato la sua condanna a morte. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, la vittima, il 16 dicembre del 1996, è stata attirata in una trappola con la scusa di un lavoro da commissionare. Ma all’appuntamento si presentò l’appena 18enne Gennaro Pulice, nuova leva, all’epoca, della consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Un colpo di pistola in fronte ha posto fine ai giorni di Ventura, il cui corpo, sempre per mano di Pulice, è stato occultato in una buca per la fermentazione del mosto in un casolare abbandonato. Per molti anni su quella scomparsa aleggiarono congetture e misteri. Fino al 2008, quando i resti del suo corpo, la sua attrezzatura e la fede nuziale, vennero ritrovati casualmente nel corso di un sopralluogo per la vendita del casolare. Nel processo che ha preso piede si sono costituiti parte civile solo i familiari del fotografo scomparso.
Il processo riprenderà il prossimo 9 marzo.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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