Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 22:32
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

I Piromalli negli Usa: «Facciamo come Al Capone»

REGGIO CALABRIA Secondo la storiografia più recente, già ad inizio del Novecento, gli uomini dei primi clan a mettere radici negli Stati Uniti, aprivano, saloon e negozi di frutta, come copertura. Da…

Pubblicato il: 26/01/2017 – 21:14
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
I Piromalli negli Usa: «Facciamo come Al Capone»

REGGIO CALABRIA Secondo la storiografia più recente, già ad inizio del Novecento, gli uomini dei primi clan a mettere radici negli Stati Uniti, aprivano, saloon e negozi di frutta, come copertura. Da allora è passato più di un secolo, sono cambiati i nomi dei protagonisti, ma non i metodi.

BUSINESS STORICO Perché anche nel 2017 i clan usano le attività del settore agroalimentare per mascherarsi. E oggi la truffa è doppia, perché quell’olio “Buon Frantoio” che i colossi della grande distribuzione al dettaglio e all’ingrosso, hanno venduto come pregiato extravergine d’oliva di origine italiana, altro non era che olio di sansa. Una truffa per i consumatori, come per l’erario statunitense che sdoganava olio di sansa, trasformato con un cambio di etichette in un prodotto pregiato. Tutto diventa possibile quando c’è di mezzo la ‘ndrangheta. Che controllava l’intera filiera, guadagnando milioni.

LA FILIERA DEI CLAN Gli investigatori lo hanno scoperto seguendo gli uomini del clan passo passo. Da quando in Turchia, in Siria e in Grecia compravano a prezzi stracciati il prodotto grezzo, per poi spedirlo a Gioia Tauro. Qui a processarlo erano sempre uomini del clan, ma il loro nome – per certi versi – è una sorpresa. Si tratta della “S.G.F. dei F.lli Careri”, riconducibile di fatto a Gioacchino Careri, cognato di Mommo Molè.

I MOLE’ “TRADITORI” A differenza del ramo principale della famiglia, fuggito a Roma per non incappare nella ferocia dei Piromalli non paghi dell’omicidio del troppo intraprendente capoclan Rocco Molè, assassinato nel 2008, loro con i discendenti di don Mommo non hanno mai rotto. E di certo, non lo ha fatto Careri, che non era uomo di fila. Alla fine degli anni Ottanta, era in grado di accompagnarsi con Enrico Nicoletti, ultimo cassiere della banda della Magliana. E trent’anni dopo è ancora in grado di fiutare gli affari, come quelli in cui viene coinvolto dal giovane Antonio Piromalli.

QUESTIONI DI FIUTO A Careri toccava trattare l’olio di sansa, rendendolo simile – quanto meno alla vista – all’extravergine di oliva. Un risultato possibile grazie alla “brillantazione con doppia raffinazione” – una tecnica di filtrazione – e l’aggiunta di qualche goccia di olio d’oliva. Lavorazioni gratuite per i Piromalli. Pur di essere coinvolto nell’affare, Careri non ha infatti esitato a spedire centinaia di migliaia di litri di olio a credito, sostanzialmente in conto vendita, dietro pagamento di solo alcune fatture. E di certo non per timore di ritorsioni.

OBIETTIVO USA L’obiettivo era entrare nell’affare, in modo da aprire un canale con le grandi catene commerciali degli Stati Uniti, ottenere commesse stabili e garantite, assumere una posizione rilevante in un importante mercato agroalimentare Usa vendere il proprio olio ad un prezzo decisamente vantaggioso. Tutti obiettivi inimmaginabili per un semplice produttore, ma che il clan Piromalli poteva assicurare grazie a contatti consolidati e una presenza – criminale e imprenditoriale – ventennale.

L’AMICO D’AMERICA A rappresentare gli interessi dello storico casato mafioso di Gioia Tauro negli States era Rosario Vizzari, fraterno amico del reggente Antonio Piromalli e per gli inquirenti vera testa di ponte del clan oltreoceano. Formalmente titolare della holding Madoro e di tutta un’altra serie di imprese collegate – persino riconosciute dalla Food & Drug Administration e che si occupano di trasporti negli usa per case importanti come la Geox– Vizzari era solo un paravento.

I MILLE TENTACOLI DEI PIROMALLI Tutte le società facevano parte dell’eclettica holding dei Piromalli, costruita con l’obiettivo di riciclare e reinvestire sia i proventi delle attività illecite generati direttamente dal clan, sia quelli ramazzati dai loro uomini nei più diversi settori. È lì – dicono gli inquirenti – che finivano i soldi di soggetti come Alfonso Annunziata, lo straccivendolo divenuto padrone del centro commerciale più grande della Calabria, del re dell’olio Matteo Giuseppe Oliveri e del figlio Vincenzo, di Nicola Comerci, l’anonimo geometra divenuto re della ricezione turistica, o dei muratori diventati imprenditori Bagalà.

IL RUOLO DI VIZZARI Tutti imprenditori creature dei Piromalli secondo gli inquirenti, al pari di Vizzari. Ma quest’ultimo per il clan aveva un ruolo fondamentale. E non solo perché in grado di garantire il paravento societario, ma anche per le capacità operative. Era lui infatti ad importare le etichette contraffatte – e in parte incomplete, negli spazi relativi a scadenza e numero di lotto – e a trasformare – quanto meno sulla carta – la sansa in extravergine Bel Frantoio.

TI PORTO ALLA WALMART Che per di più veniva spacciato per “fruttato” e “non filtrato” alla faccia di tutti i processi chimici utilizzati per renderlo presentabile. Sempre grazie a Vizzari poi, il clan è riuscito ad entrare alla corte della grande distribuzione statunitense al dettaglio e all’ingrosso. È lui a scortare in visita in Italia, Steven Julian Pash, in grado di garantire l’ingresso anche degli agrumi dei Piromalli nel circuito di Walmart e Costco.

L’ECONOMIA SECONDO I PIROMALLI La regia dell’affare però è tutta Piromalli, come Antonio tenta di spiegare alla moglie, cui dice «e allora io ho messo il fornitore, cioè quello che ci fornisce l’olio ed ho messo il cliente quello che si compra l’olio, cioè Rosario ed ho detto “noi facciamo da mediatori, prendiamo la mediazione da quello che là… di Gioia… da quello che vende l’olio e la mediazione da quello che acquista l’olio!». In seguito, per aumentare ulteriormente il proprio margine di guadagno, Piromalli aggiunge un ulteriore filtro, la società Copam – ovviamente gestita da lui – cui Careri avrebbe dovuto vendere l’olio, poi acquistato da Vizzari. Permettendo al rampollo dei Piromalli di guadagnare su tre mediazioni, per giunta a prezzo “calmierato”. «Io – prova a spiegare alla moglie – ho detto al fornitore… giù in Calabria che ci vende… che vende l’olio a Rosario, “Senti da ora in poi… tu fino ad ora a quanto vendevi l’olio?… a 2,70 € a Rosario?”…(…)… d’ora in poi prendi 50 centesimi a bottiglia e li metti da parte per me!…(…)… gli ho detto io “mettili da parte e poi una volta al mese me li mandi a me… anche se sono la metà, invece di 20 sono 10 me li mandi a me!».

FACCIAMO COME AL CAPONE Su questi giganteschi flussi di danaro, né Vizzari né Piromalli avevano intenzione di pagare un euro o un dollaro di tasse. Per questo hanno attivato carte di credito al portatore come la Viabuy e hanno costituito società slovene, perché – commenta Vizzari con l’amico di sempre «noi dovremmo dichiarare… come Al Capone che l’hanno arrestato per tutto tranne… quello che veramente faceva, per evasione.. come te».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

x

x