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Cosenza, «paziente uccisa dalle violazioni sulla sicurezza in ospedale»

COSENZA Una perizia del Tribunale di Cosenza lo ha accertato: le responsabilità per la morte di una donna di 55, avvenuta nell’ottobre 2010 per un’infezione contratta in ospedale dopo un intervento c…

Pubblicato il: 27/04/2017 – 17:18
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Cosenza, «paziente uccisa dalle violazioni sulla sicurezza in ospedale»

COSENZA Una perizia del Tribunale di Cosenza lo ha accertato: le responsabilità per la morte di una donna di 55, avvenuta nell’ottobre 2010 per un’infezione contratta in ospedale dopo un intervento chirurgico, riguardano non solo i sanitari che si occuparono della paziente, ma anche la macchina organizzativa e amministrativa posta al vertice del presidio sanitario. Lo stabilisce un dossier di quasi 100 pagine redatto dopo anni di battaglie legali iniziate dai familiari della vittima assistiti dagli avvocati Massimiliano Coppa, Paolo Coppa e Luigi Forciniti – durante le quali furono strenuamente negate da medici e vertici le responsabilità di chi ebbe in cura la paziente.
In particolare è stato documentalmente accertato che la donna è entrata in Pronto soccorso e fu successivamente sottoposta a intervento chirurgico e – in quella sede – è stato effettivamente riscontrato che la 55enne ha contratto l’infezione nosocomiale da staffilococco aureo (lo stesso batterio per il quale nel novembre del 2016 fu eseguito dal Nas dei Carabinieri, su disposizione della Procura della Repubblica di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo, il sequestro delle sale operatorie dell’Ospedale di Cosenza), batterio risultato in elevato e vertiginoso aumento proprio dal Comitato per il Controllo delle Infezioni Ospedaliere istituito ad hoc presso l’Ospedale di Cosenza il 25.03.2011.
Come se non bastasse – quel che è stato considerato inaccettabile dagli esperti del Tribunale e più grave – fu il fatto che, pur essendo stata diagnosticata l’infezione nosocomiale alla paziente mediante la somministrazione di esami ematochimici, la stessa non fu sottoposta dai sanitari ad alcuna terapia antibiotica per un periodo di oltre 20 giorni. Solo dopo un ulteriore ricovero in pronto soccorso per la riapertura cruenta a causa dell’infezione della ferita chirurgica del precedente intervento, la donna fu sottoposta a terapia antibiotica, risultata però insufficiente sul piano posologico e non adatta a quel tipo di infezione al punto da creare un grosso ascesso purulento e profondo che richiedeva un nuovo intervento chirurgico per revisione della ferita, sempre nelle sale operatorie oggi ancora sottoposte a sequestro giudiziario dalla Procura della Repubblica di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo. 
La giusta terapia antibiotica fu poi successivamente somministrata a distanza di oltre due mesi, quando era troppo tardi. I legali della famiglia, in una nota, si dicono dispiaciuti di «dover constatare che, se la patologia fosse stata diversamente curata e gestita, la 55enne aveva l’80% di probabilità di vivere. Oggi la famiglia deve – suo malgrado – prendere atto delle reiterate ed inaccettabili condotte di medici e vertici dell’ospedale cosentino che – con il loro comportamento – alla luce dei dati di risulta – hanno di fatto cagionato il decesso della donna che a costoro aveva affidato la sua salute e la sua vita».
«In questa vicenda – proseguono le valutazioni dei legali – sono state – in modo più diretto e preciso del solito – chiaramente individuate molteplici e gravi inadempienze della struttura ospedaliera (la più grande della Provincia di Cosenza) in persona dei suoi legali rappresentanti in via apicale ed amministrativa, i quali si sono sottratti a quegli obblighi imposti dalla legge  di mettere a disposizione del paziente le strutture ed i mezzi necessari per l’effettuazione della prestazione sanitaria. In altri termini i periti – su sollecitazione dei consulenti di parte dell’Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma – nominati per la famiglia dall’avvocato Massimiliano Coppa – hanno chiaramente evidenziato – richiamandole – tutte le condotte omissive e violatrici di norme poste in essere dai medici ma anche tutti quei comportamenti posti in essere dai vertici generali ed amministrativi della struttura ospedaliera cosentina “per inidonea organizzazione e diretta violazione della sicurezza nella erogazione delle cure”, paradigma questo previsto dalla vigente legge sanitaria (Dlgs 502/92 e L.229/99) che – all’esito del deposito di questo voluminoso dossier peritale di quasi 100 pagine – potrebbe slatentizzare anche possibili contestazioni personali di rilevanza penale dei vertici dell’Ospedale, in ambito di palese violazione di norme sulla sicurezza pubblica, igiene e sanità. La perizia – quale atto d’ufficio, avendo riguardato un caso di decesso avvenuto per infezione ospedaliera – potrebbe anche essere acquisita a supporto nell’inchiesta già aperta il 14.11.2016 dalla Procura di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo che ha comportato la chiusura ed il conseguente sequestro delle sale operatorie».

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