L'importanza dei rom per la 'ndrangheta
REGGIO CALABRIA Confinati in un vero e proprio ghetto ai margini della città, oggi considerato terra di nessuno, ostracizzati, tenuti a margine, gli esponenti della comunità rom di Arghillà sono dive…

REGGIO CALABRIA Confinati in un vero e proprio ghetto ai margini della città, oggi considerato terra di nessuno, ostracizzati, tenuti a margine, gli esponenti della comunità rom di Arghillà sono diventati per la ‘ndrangheta una risorsa. E sono tanti, senza nulla da perdere e disposti a tutto. A dimostrarlo è la parabola di Cosimo “Cocò” Morelli, 37enne di Arghillà, divenuto – ha svelato l’indagine coordinata dai pm Stefano Musolino, Walter Ignazzitto, Sara Amerio e Giovanni Gullo – insieme ai fratelli Andrea e Fabio, il ras della banlieue reggina che si allarga sulla collina al di sotto del carcere.
IL RE DI ARGHILLÀ Grazie all’investitura ricevuta da un esponente storico dei clan come Giovanni Rugolino, Cocò è diventato il solerte reggente di Arghillà, pronto a mobilitare – si legge nel fermo – «un vero e proprio “esercito” di banditi dediti alla consumazione di reati “comuni”, ma al contempo postisi a servizio delle cosche di ‘ndrangheta, quale braccio armato ed operativo da utilizzare per il raggiungimento degli obiettivi associativi».
AL SERVIZIO DEI CASATI STORICI Con buona pace del razzismo di vecchi arnesi dei clan, la comunità rom è entrata dalla porta grande al servizio delle ‘ndrine. Con tanto di battesimo. Ad affermarlo è il collaboratore Vittorio Fregona, che interrogato dal pm Giuseppe Lombardo, dice «Cosimo è basato su Rugolino… ha tanti… un sacco di giovanotti». Che grazie a lui – commenta non senza indignazione il pentito – possono ricevere anche investitura ufficiale. «Cosimo può battezzare gli zingari, non penso io, io non mi facevo battezzare da Cosimo. (Lo fa) per conto dei Rugolino».
LE CONFERME DEI PENTITI A confermarlo è anche il neo pentito di Villa San Giovanni, Vincenzo Cristiano, che interrogato il 17 febbraio scorso ha detto chiaramente «So che Rugolino ha affiliato alla sua cosca anche gli zingari di Arghillà. Conosco il capo, tale Cocò. È lui che comanda ad Arghillà e si occupa, in particolare, dello spaccio di droga. È alto circa 1.70, robusto e stempiato. Veste “griffato” e ricordo che aveva un’autovettura modello “Touareg”. So che è riconosciuto come ‘ndranghetista ed è stato affiliato da Rugolino. Me lo ha detto espressamente lo stesso Cocò».
LE PERPLESSITÀ DEL NIPOTE DEL BOSS Una legittimazione che Morelli non esitava ad ostentare. Tanto da far masticare amaro i vecchi arnesi dei clan, che rivendicavano un ruolo in nome di sangue e parentele. Soggetti come Vincenzo Ferrante, nipote del boss detenuto Mico Stillitano, al pari di Morelli attivo nello spaccio su larga scala di cocaina. «Sono montati di “pisciazza (Cosimo ndr) è malato di ‘ndrangheta pericoloso (…) parla con quella voce tipo Totò Riina, del tipo che impressiona le persone gli pare a lui», dice intercettato Ferrante che su Arghillà rivendicava la reggenza concessa – in nome di affari e forza militare – a Cocò. E a lui rimasta, nonostante la contrarietà del nipote di don Mico.
DECISIONI SOVRAORDINATE Il nipote del boss, riavvicinatosi alla sua famiglia di provenienza, dopo un periodo di stretta collaborazione con i condelliani, ha dovuto ingoiare rimostranze e fiele, piegandosi alle decisioni dei Rugolino e del suo stesso clan. Ma soprattutto al placet – e forse agli affari – che Cocò Morelli e i suoi fratelli avevano con i potentissimi clan Condello e Tegano. È lo stesso Morelli a rivelarlo – involontariamente – ai carabinieri che lo ascoltano.
AFFARI CON GLI ARCOTI? Il discorso non è chiaro, Cocò parla in modo volutamente criptico, ma il riferimento – dicono gli investigatori – sarebbe a rapporti e affari con «Franceschino, il figlio di Pasquale», a dire di Morelli indegna progenie del superboss Condello, e Domenico Francesco Tegano, uno dei rampolli degli arcoti. «Devo venire qui a fare un favore a Mico – dice compiaciuto Morelli – Ancora, uno, due impegni gli devo portare avanti».
LA DOTE DI MORELLI Il ras di Arghillà ha portato in dote ai casati storici la capacità di intervenire su tutta la comunità rom di Reggio Calabria, concentrata non solo ad Arghillà, come la disponibilità a contribuire al mantenimento dei detenuti del clan. Ma soprattutto – si legge nel fermo – «il gruppo Morelli ha messo a disposizione delle tradizionali famiglie di ‘ndrangheta i suoi numerosi e versatili “picciotti”, garantendosi al contempo la legittimazione ad esercitare il controllo mafioso sull’intero Villaggio Arghillà ed a gestire i lucrosi business criminali, non ultimo quello legato allo spaccio di sostanze stupefacenti».
IL PESO MILITARE Dell’importanza del suo esercito, Morelli è perfettamente cosciente. «Scusa un attimo – dice a Ferrante – io ho zingari e non zingari, non quelli che vedi qua ah? Zingari e non zìngari… Ho il numero di persone, ho il numero di persone… ine… zingari, in tutti i posti. Scusa un attimo. Ho il numero di persone di tutte le zone, e Mico (Stelitano ndr) lo sa!». E le sue non sono millanterie. Lo conferma anche il neo pentito Cristiano, che di Cocò dice «sapeva che ero un “amico”, cioè che gravitavo negli ambienti della cosca Bertuca e quindi con me si apri, ostentando il suo ruolo di “capo ” ad Arghillà e dicendomi che poteva disporre di 500 uomini». Tutti armati, tutti pericolosi, come dimostrano le perquisizioni che oggi hanno permesso di individuare e sequestrare persino armi da guerra.
ANDREA IL SUCCESSORE Punti di forza – dice non senza soddisfazione Cocò a Ferrante – su cui anche gli Stillitano avrebbero deciso di puntare. «Mico… gli lascia il posto a mio fratello… Il suo posto… in quel senso no!? A mio fratello. Perché ha visto come ragioniamo noi. Quando (Andrea ndr) è uscito dalla galera (…) gli hanno dato compiti di famiglia, macchine, X5». Per questo, consiglia Morelli al suo interlocutore, è bene che ci si metta d’accordo. E Ferrante capisce che è vero. Anche perché è lui stesso ad ammettere che «mio zio lo sai a chi porta in una campana di vetro? A tuo fratello Andrea». Con buona pace delle sue ambizioni da reggente.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it