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«Mille euro al mese ai picciotti del clan Perna»

COSENZA Il Tribunale di Cosenza ha ascoltato, per oltre quattro ore, il pentito Silvio Gioia nel corso di una nuova udienza del processo “Apocalisse”, scaturito dall’inchiesta che il 12 novembre del…

Pubblicato il: 20/07/2017 – 13:52
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«Mille euro al mese ai picciotti del clan Perna»

COSENZA Il Tribunale di Cosenza ha ascoltato, per oltre quattro ore, il pentito Silvio Gioia nel corso di una nuova udienza del processo “Apocalisse”, scaturito dall’inchiesta che il 12 novembre del 2015 ha consentito alla Dda di Catanzaro di sgominare un’organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti guidata dal clan Perna. 

IL RACCONTO DEL PENTITO Il pubblico ministero aveva chiesto l’acquisizione dei verbali resi dal collaboratore di giustizia, ma la difesa – in particolare l’avvocato Filippo Cinnante – ha espresso parere contrario soprattutto per alcuni verbali che le difese hanno ricevuto in modo riassuntivo. Gioia ha spiegato al collegio (presieduto dal giudice Enrico Di Dedda) che nel 2013 ha iniziato a collaborare con la giustizia perché aveva subito minacce da Marco Perna. Ha poi riferito come avveniva lo spaccio della droga nella città dei Bruzi da parte del presunto clan Perna.
Il pm ha evidenziato alcune contestazioni al pentito in merito ad affermazioni sul ruolo di Alfonsino Falbo, ritenuto appartenente al clan Perna. «Poi ho saputo – ha detto il pentito – che Falbo e Marco Perna hanno avuto un disguido: me lo confermò anche lo stesso Marco Perna ma non mi spiegò i motivi». Gioia è tornato poi a parlare delle minacce e pressioni subite da Marco Perna e altri per debiti di droga: «Pasquale Francavilla in una circostanza mi disse di dare i soldi a Marco Perna altrimenti mi avrebbero incendiato la casa e mi avrebbero sparato». Il collaboratore di giustizia ha raccontato anche una vicenda singolare: un ragazzo di Rogliano per estinguere un debito che aveva con lui gli regalò «un fucile a canne mozze» e subito lui lo regalò a Marco Perna «per simpatia». L’amicizia con Marco Perna nacque nel 2010 nel carcere di Cosenza. Il pentito ha raccontato come avveniva la cessione dello stupefacente, qual era il ruolo di Marco Perna e il rapporto avuto con ognuno degli imputati nel processo ma anche con altri presunti affiliati al clan finiti nelle indagini della Dda. Rispondendo alle domande del pm, Gioia ha spiegato il rapporto avuto con Pasquale Francavilla che era – a suo dire – la persona con cui lui parlava per i debiti che aveva con Marco Perna in una fase che lo stesso collaboratore ha definito «recupero credito» che Marco Perna avrebbe esercitato anche con altri.
A volte la droga veniva nascosta in macchina. 
Rispondendo a una precisa domanda del pm Assumma, il pentito Silvio Gioia ha ribadito quanto già dichiarato agli inquirenti nel 2014, quando ha iniziato a collaborare: «Custodivamo la droga nell’ufficio di Gabriele Carchidi dove lui aveva la redazione del giornale Cosenza Sport. Lui metteva a disposizione l’ufficio per conservare la droga e non solo a me. Anche a Castiglia e Salerno. Portavamo lo stupefacente nella redazione del giornale e questo avveniva in svariate occasioni. Sia io che Castiglia e Salerno andavamo da lui la sera. Carchidi sapeva che io prendevo la droga da Marco Perna». 
Incalzato dalle domande del pubblico ministero e anche del presidente del collegio, il collaboratore ha specificato che il gruppo di Marco Perna aveva un contabile che gestiva i proventi dello spaccio: «I soldi venivano dati a Franco Santoro: erano usati per pagare la droga e per pagare gli stipendi di alcuni ragazzi. Una volta Marco Perna mi disse che Pellicori prendeva mille euro al mese. Anche gli altri venivano pagati». Il pentito ha fatto poi riferimento a una sorta di «estorsione» o «truffa» subita quando venne costretto a dare «18mila euro a Marco Perna»: «In quella circostanza c’era pure Andrea Minieri». Più volte il collaboratore di giustizia ha precisato che tutto quello che lui ha raccontato agli inquirenti sono soprattutto fatti ai quali ha assistito personalmente, altri gli sono stati riferiti. Le parole di Gioia, ora, saranno sottoposte al vaglio del collegio giudicante. Solo allora se ne potrà provare l’effettiva portata. Dopo il lungo esame del pubblico ministero, il collegio ha rinviato l’udienza al prossimo 7 settembre quando proseguirà il controesame del pentito Silvio Gioia. 

L’INCHIESTA Nell’inchiesta Apocalisse vennero emessi 19 provvedimenti di fermo nei confronti di altrettanti esponenti della cosca di ‘ndrangheta operante a Cosenza e nell’hinterland e dedita principalmente al traffico di cocaina, hashish e marijuana. Tra gli arrestati anche Marco Perna, 41enne cosentino, figlio di Franco Perna, capo dell’omonimo “gruppo criminale” attivo a Cosenza, attualmente ristretto in regime di 41 bis. Nel processo, che si sta svolgendo con il rito ordinario, sul banco degli imputati ci sono Marco Perna 41 anni; Pasquale Francavilla 40 anni; Giovanni Giannone 46 anni; Andrea Minieri 34 anni; Giacinto Bruno 43 anni; Alessandro Marco Ragusa 28 anni; Giuseppe Chiappetta 32 anni; Alessandro Andrea Cairo 23 anni; Andrea D’Elia 23 anni; Ippolito Tripodi 22 anni; Bruno Francesco Calvelli 25 anni; Denis Pati 23 anni; Luca Pellicori 40 anni; Danilo Giannone 26 anni; Paolo Scarcello 24 anni; Francesco Scigliano 23 anni; Domenico Caputo 38 anni; Francesco Porco 37 anni; Giuseppe Muto, 31 anni e Alessandro Marco Ragusa, 29 anni.
Giovedì, nell’aula 9 del Tribunale di Cosenza, il pm (applicato dalla Dda) Domenico Assumma ha ascoltato il pentito, collegato in videoconferenza dal sito protetto assieme al suo legale Simona Celebre del foro di Roma. Silvio Gioia era imputato nello stesso procedimento ma è già stato condannato in abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione. 

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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