Ai rampolli dei clan piacciono i privé
REGGIO CALABRIA Curcuci e champagne. Gite a Polsi e week end a Bucarest. Calessini da trotto e tavoli nei privé dei locali. Squadre di quartiere e salotti patinati. Facebook e fratellanze di sangue…

REGGIO CALABRIA Curcuci e champagne. Gite a Polsi e week end a Bucarest. Calessini da trotto e tavoli nei privé dei locali. Squadre di quartiere e salotti patinati. Facebook e fratellanze di sangue. È sospesa fra le spacconerie da viveur, vecchie tradizioni e storici metodi la vita delle giovani leve dei clan di Archi. Il procedimento per rissa e lesioni che adesso li vede indagati è infatti solo “l’errore” che ha iniziato a mostrare il perimetro di una rete che cerca spazio. E preoccupa.
LA RETE A svelare il perimetro di un gruppo composito di giovani e giovanissimi – che parte da Archi, si allarga agli storici feudi di Tremulini, Santa Caterina e San Brunello, per poi spingersi su fino ai territori che un tempo erano degli Audino, a sud nell’area storicamente controllata dai Iamonte e recluta persino nella comunità rom – è Facebook. Come a tutti i coetanei, anche ai giovani rampolli piace fotografarsi, taggarsi e in generale mostrarsi come reucci di un territorio che sentono di aver ereditato in dote.
GALEOTTO FU FACEBOOK Studiando i numerosi e attivissimi profili aperti sui social dalle giovani e rampanti presunte leve dei clan gli investigatori hanno trovato riscontri a dichiarazioni e informazioni sui protagonisti della rissa e del selvaggio pestaggio di due poliziotti dell’estate scorsa. E fra questi ultimi a rendersi “interessante” dal punto di vista investigativo è stato soprattutto Mico Tegano.
IL CURRICULUM DEL GIOVANE CAPO È lui, si legge nelle carte, il capo carismatico del gruppo che si è reso protagonista del raid che insieme ad altri lo ha fatto finire sotto indagine. Ma non è la prima volta che il figlio del boss Pasquale si fa notare gli investigatori. Con all’attivo precedenti di polizia per porto d’armi, è finito fra gli imputati nel procedimento con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta Gambling (procedimento nel quale è stato assolto). Il vizio del gioco non lo ha perso e neanche quello delle cattive frequentazioni.
IL LUPO PERDE IL PELO, MA NON IL VIZIO Il suo profilo facebook – improvvisamente sparito da qualche giorno – ne ha testimoniato i frequenti viaggi in Romania, dove più volte si è fatto immortalare in sale slot e casinò probabilmente gestiti da un altro “figlio d’arte”, con le mani in pasta nel mondo del gioco. E non solo a Bucarest. Foto e tag mostrano l’amico di Tegano jr molto impegnato anche fra Montecarlo e Malta, dove già diversi anni fa l’inchiesta Gambling ha scoperchiato il gigantesco sistema di gioco illecito che per anni ha permesso ai clan di Archi di lavare milioni di denaro sporco. Coincidenze? Forse. Di certo il giovane Tegano, imputato con l’accusa di aver avuto un ruolo in quel sistema di gioco illecito, non sembra preoccuparsi.
«È LUI IL BOMBAROLO» La sua è una posizione tutto sommato minore, tuttavia agli atti di quel fascicolo c’è un verbale del pentito Mario Gennaro che svela ben più preoccupanti scenari. Per il collaboratore di giustizia, è stato il giovane rampollo di Archi a far mettere la bomba che ha fatto saltare il suo centro scommesse in pieno centro cittadino. All’epoca il fatto fece clamore. Quell’ordigno è esploso in una zona frequentata a tutte le ore e quando ancora erano in tanti a bivaccare da quelle parti. Solo per caso – o forse no – nessuno è rimasto ferito.
LE AFFINITÀ CON I CONDELLIANI Non è stato ancora reso noto se alle dichiarazioni di Gennaro sia stato trovato riscontro o meno. Nel frattempo però, il nome di Mico Tegano è finito fra quelli citati dagli indagati dell’operazione Eracle. Ad evocarlo è Vincenzo Ferrante, fra le principali “voci” finite nell’inchiesta Eracle, ma morto prima della sua esecuzione. È lui a dire che «c’è Mico Tegano… cosa questi qua che stanno spacciando». Un’involontaria indicazione cui non è dato sapere – al momento – se sia stato dato seguito. Di certo, con i “condelliani” dell’operazione Eracle, il giovane rampollo di Archi sembra in ottimi rapporti. Più volte, le telecamere registrano la sua presenza nella stalla di Archi gestita da Francesco Domenico Condello, figlio del Supremo, di recente arrestato e poi mandato ai domiciari per corse clandestine.
IL MIO AMICO MIMMONE Un altro occhio elettronico immortala Mico Tegano di fronte alla pizzeria Mirablù, oggi sotto sequestro, mentre chiede a Katia Martino che la gestisce di “convocare” Mico Nucera, considerato il capo della squadra di buttafuori abusivi che imponeva il proprio controllo sui locali per conto dei Condello. E Nucera e Tegano jr sembrano andare d’amore e d’accordo se è vero che la telecamera li inquadra mentre, in un’altra occasione, si avvicinano insieme alla medesima pizzeria, insieme ad altri due soggetti ritenuti parte della rete dei pusher. Anche gli incidenti di percorso non sembrano turbare il rapporto fra i due.
I «RISPETTI» PER «LE PERSONE» È il 7 giugno 2016. Nucera non è con il giovane rampollo di Archi, ma con Minutolo, un altro degli arrestati dell’operazione Eracle. Ed è lui a dire «nessuno si deve permettere di metterti in mezzo… a niente e a nessuno Mico… Compare se c’eri tu io evitavo, compare, evitavo… perché si evitano queste cose quando ci sono persone». Il riferimento è ad una rissa scoppiata qualche giorno prima al Mahe, il locale su cui Nucera aveva imposto la propria vigilanza per conto dei Condello. Lo stesso in cui è iniziato lo scontro con i rosarnesi, poi degenerato nella rissa che ha fatto finire Tegano jr e il suo gruppo sotto indagine.
CARISMA DA CAPO Si tratta di una delle tracce che gli investigatori hanno seguito per risalire agli autori di quel violento pestaggio. Forse. E forse non solo. Ecco perché – probabilmente – a Mico Tegano viene riconosciuto dagli investigatori un carisma criminale «fuori dal comune che, nonostante la sua giovane età gli garantisce il massimo rispetto sia da parte dei suoi fiancheggiatori, che dai soggetti estranei alla propria organizzazione».
UNA RETE AMPIA E PERICOLOSA Quali? Al momento, ufficialmente non ci sono indicazioni. Ma – suggeriscono fonti investigative – il branco che ha pestato selvaggiamente dei coetanei solo per un apprezzamento alla ragazza sbagliata in realtà potrebbe essere parte di un gruppo molto più ampio. E pericoloso. Nelle informative agli atti dell’inchiesta sulla rissa si legge infatti di una rete di una quarantina di persone, tutte provenienti da Archi, che negli anni passati ha firmato raid e pestaggi nei locali della movida cittadina. Aggressioni che in ambienti investigativi molti leggono come un tentativo di riempire o vuoti di potere creati dagli arresti degli ultimi anni.
VUOTO DI POTERE Sullo scenario criminale cittadino – spiegano gli osservatori più attenti – si muovono nuove generazioni che reclamerebbero spazio e potere in virtù di cognomi che ostentano come stendardi e dell’omertà che i crimini commessi da padri, nonni, se non più antichi antenati assicura. Ma a differenza degli anziani, i nuovi rampolli hanno fretta. Non appena capi operativi come Paolo Rosario De Stefano, Giovanni De Stefano, Mico “Tattoo” Sonsogno, Vincenzo Zappia sono finiti dietro le sbarre, una nuova rampante generazione ha preteso spazio e ruolo.
LE TENSIONI DEGLI ULTIMI ANNI A questo vengono ricondotte le tensioni che da anni inquietano la città, dai raid nei locali a nuovi pressanti giri di estorsioni, dai selvaggi pestaggi di innocui avventori di bar e locali (l’ultimo risale a meno di un mese fa) a intimidazioni, anche a colpi di arma da fuoco. Se e in che misura alcuni di loro siano finiti nelle maglie dell’indagine per rissa al momento non è dato sapere. Ma è certo – spiegano gli osservatori – che il cuore delle nuove tensioni batta ad Archi. E da lì si estenda.
IL RAMPANTISMO NON SI PERDONA A meno che qualcuno, magari fra gli storici capi di recente tornati in libertà, non vi metta freno. Uno scenario che fa paura. Anche – suggeriscono alcune fonti – fra gli uomini dei clan. In certi ambienti il rampantismo non viene ben tollerato. L’ultimo a far le spese di questa regola – raccontano i pentiti – è stato Paolo Schimizzi. Ufficialmente è solo scomparso. Per i collaboratori è stato brutalmente ammazzato. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it