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Minniti, Gratteri e le «convergenze parallele»
Camogli, 9 settembre, Festival della comunicazione. Voluto da Umberto Eco, è oggi uno degli appuntamenti più importanti per scrittori, uomini delle istituzioni, giornalisti, osservatori attenti di un…
Pubblicato il: 10/09/2017 – 13:35
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Camogli, 9 settembre, Festival della comunicazione. Voluto da Umberto Eco, è oggi uno degli appuntamenti più importanti per scrittori, uomini delle istituzioni, giornalisti, osservatori attenti di un fenomeno che mai come oggi si ritrova al bivio tra lo sciocchezzaio della “rete senza rete” e lo strumento per allargare la democrazia partecipata.
Sul palco sono di turno un magistrato, Gherardo Colombo, che, dismessa la toga, gira la Penisola invitando a coltivare «il vizio della memoria», e un altro magistrato, Nicola Gratteri, che, guidando una delle Procure distrettuali più scomode sul fronte della lotta alle mafie, brucia le sue ferie invitando le nuove generazioni a non dar retta ai cattivi maestri, bolla il ricorso all’antimafia dei talk show, attacca i miti di una pubblicistica che esalta i Savastano e i “don Vito” di turno.
Nella, ormai per lui abituale, veste dell’intervistatore/provocatore lo “zanzarone” David Parenzo. Che ogni sette minuti rifila a Gratteri la stessa domanda: «Ma lei è nel partito di Marco Minniti»?
Delle centinaia di spettatori presenti, si contano sulle dita di una mano quelli che hanno capito dove intende andare a parare Parenzo. Tra questi non c’è Nicola Gratteri. Non per questo si trova in difficoltà nel rispondere: «Considero il ruolo del magistrato incompatibile con l’adesione a qualsivoglia partito. Altro è la corretta e leale collaborazione tra istituzioni, la considero doverosa e coerentemente metto la mia esperienza a disposizione di qualsiasi forza politica impegnata nella crescita del mio Paese».
Gratteri ribadirà più volte il concetto. Fin quasi a renderlo falsamente edonistico: Gratteri sta nel partito di Gratteri. Perché il giudice non deve essere “terzo” che potrebbe non bastare. Il giudice deve essere solo. Risponde alla Legge e alla propria coscienza. Stop.
Ma la domanda di Parenzo era ispirata, ed è questo che Gratteri ignorava, dall’anteprima, che il conduttore aveva in mano già da un paio di ore – assieme a una ristretta cerchia di addetti ai lavori – della copertina de “L’Espresso” oggi in edicola, interamente dedicata al ministro dell’Interno sotto l’insidioso titolo “Il partito di Minniti”.
Conosco molto superficialmente sia Marco Minniti che Nicola Gratteri, non ho avuto la fortuna che migliaia di altre persone, a giudicare da quel che si legge sulla “rete”, hanno avuto, condividendo con questi due protagonisti dell’attuale storia del Paese lunghi tratti della loro vita. Li ho incrociati da cronista di paese e questo in fondo mi autorizza, parafrasando Guido Quaranta, a dire due o tre cose che so di loro. So, ad esempio, che in comune hanno molte cose ma non una militanza partitica. E so che nessuno ha mai regalato niente a Minniti e a Gratteri. So che negli anni Ottanta, quando la scorta non era uno status symbol ma una centellinata rarità, entrambi incominciavano un percorso blindato che non avrebbero mai più potuto abbandonare.
So che in comune hanno una dozzina di interrogazioni parlamentari, scritte sotto dettatura da parte dei boss in ascesa, quelli che avevano optato per le autobomba e gli omicidi eccellenti. Li si accusava di ogni nefandezza e se ne chiedeva se non quella fisica almeno la morte civile. Mi pare di ricordare che condividevano le serate blindate con un altro servitore dello Stato indegnamente ricambiato, un commissario di polizia che tentò di ripulire Siderno dalla massomafia e fu costretto ad andarsene rapidamente. Ah… ecco, ricordo il nome…. Franco Gratteri. Condannato per un reato impossibile dopo i gravi fatti del G8 di Genova: falso in atto pubblico per avere ricevuto e non certo redatto una falsa relazione di servizio. L’autore materiale del falso è rimasto invece incensurato e fa carriera.
So di un’altra cosa che fatalmente unisce Nicola Gratteri e Marco Minniti: entrambi hanno rischiato di perire più volte per “fuoco amico”. L’Associazione nazionale magistrati non ha mai amato Gratteri, come la vecchia classe dirigente del Pci tentò mille volte di sbarazzarsi di Minniti (pare che ancora oggi non desista…).
Forse ha ragione Colombo a insistere perché si riacquisti il «vizio della memoria». Rileggere oggi lo scontro tra il giovane Marco Minniti e il potente segretario regionale del Pci e vicepresidente della Regione Calabria, Franco Politano, potrebbe lumeggiare su molti personaggi oggi appassionatamente (e disinteressatamente?) “Minnitiani”. Così come sarebbe interessante riscoprire chi firmava le cronache giornalistiche contro il brutale giudice istruttore Gratteri quando “perseguitava” la forestazione calabrese o l’imprenditoria bancaria targata Jonica Agrumi. Acqua passata. Adesso Minniti viene accreditato da “L’Espresso” di un partito tutto suo. Gratteri scala la classifica dei libri più venduti e rappresenta il nostro Paese negli organismi dell’Onu per la lotta al narcotraffico e alle mafie transnazionali, comprese quelle che hanno sinergie con il terrorismo islamico. E Parenzo si chiede se nel partito di Minniti, oltre a Mattarella, Travaglio, la Gabanelli e compagnia varia, compare anche Gratteri.
Forse ha ragione Colombo a insistere perché si riacquisti il «vizio della memoria». Rileggere oggi lo scontro tra il giovane Marco Minniti e il potente segretario regionale del Pci e vicepresidente della Regione Calabria, Franco Politano, potrebbe lumeggiare su molti personaggi oggi appassionatamente (e disinteressatamente?) “Minnitiani”. Così come sarebbe interessante riscoprire chi firmava le cronache giornalistiche contro il brutale giudice istruttore Gratteri quando “perseguitava” la forestazione calabrese o l’imprenditoria bancaria targata Jonica Agrumi. Acqua passata. Adesso Minniti viene accreditato da “L’Espresso” di un partito tutto suo. Gratteri scala la classifica dei libri più venduti e rappresenta il nostro Paese negli organismi dell’Onu per la lotta al narcotraffico e alle mafie transnazionali, comprese quelle che hanno sinergie con il terrorismo islamico. E Parenzo si chiede se nel partito di Minniti, oltre a Mattarella, Travaglio, la Gabanelli e compagnia varia, compare anche Gratteri.
Due calabresi di successo che mantengono, un po’ anche perché i fatti lo hanno reso inevitabile, molti punti in comune ma continuano a giocare partite diverse in campi diversi, rispettosi dell’autonomia reciproca e, nonostante tutto, innamorati della loro terra e delle sue genti. Un agricoltore infiltrato in magistratura, si autodefinisce Gratteri. Un marinaio che invecchiando vuol fare il guardiano del faro, confessa Minniti. Intransigenti sui paletti etici, entrambi. Passionale Gratteri, cinico Minniti. Due percorsi paralleli ma in politica le regole della geometria non valgono e Aldo Moro insegnò che esistono anche le «convergenze parallele».
Due calabresi di successo nonostante… i calabresi. Sanno bene che la descrizione dei “reggini” lasciata dal poeta Nicola Giunta resiste nel tempo:
«… Nani sunnu illi
e vonnu a tutti nani».
Non so se esiste un PdM (Partito di Minniti). Ripeto, conosco a mala pena Minniti. Ma per quelle due o tre cose che so di Minniti e di Gratteri, non mi stupisce affatto che nella squadra delineata da “L’Espresso” non compaia alcun big calabrese. Parenzo se ne faccia una ragione. E se ne facciano una ragione anche i millantatori dell’ultima ora.
direttore@corrierecal.it
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