Eracle, chiesto il processo per i “protettori” della movida reggina
REGGIO CALABRIA Si dovranno presentare tutti di fronte al gup 43 indagati dell’inchiesta Eracle, che ha svelato il racket di buttafuori abusivi tramite cui il clan Condello ha imposto la protezione s…


REGGIO CALABRIA Si dovranno presentare tutti di fronte al gup 43 indagati dell’inchiesta Eracle, che ha svelato il racket di buttafuori abusivi tramite cui il clan Condello ha imposto la protezione sui locali della movida cittadina, garantendosi anche un utile canale per lo spaccio di droga. Per tutti quanti, i pm Sara Amerio, Walter Ignazitto, Giovanni Gullo e Stefano Musolino, che hanno coordinato le indagini, hanno chiesto il rinvio a giudizio e adesso per loro si attende la fissazione dell’udienza preliminare. A vario titolo, devono rispondere di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, tentata estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e intestazione fittizia di beni.
GUARDIANIA 2.0 Al centro dell’inchiesta, attività, affari e reti delle giovani leve del clan Condello che insieme a famiglie a loro storicamente collegate per anni hanno funestato e controllato le notti reggine. Su locali e “lidi” i clan – è emerso dall’inchiesta – avevano imposto una vera e propria guardiania, assicurata da un branco di buttafuori abusivi, che nessun gestore poteva permettersi (e nemmeno ha tentato) di allontanare.
SPEDIZIONE PUNITIVA Un servizio security armato e pericoloso, tanto da arrivare ad organizzare una vera e propria spedizione punitiva conclusasi con una gambizzazione, nei confronti di un 28enne di Gallico che si era permesso di “disturbare” una serata. Ma la security dei Condello non si occupava solo di “ordine pubblico” nei locali. Anche di spaccio.
SERVIZIO COCA Nei lidi su cui “vigilavano”, i buttafuori avevano anche la facoltà di far girare la cocaina degli arcoti. Stesso ramo di business al quale i clan della periferia nord – Rugolino e Stillitano soprattutto – avevano ammesso anche gli uomini della comunità rom di Arghillà, affidata a Cocò Morelli. Individuato come reggente della banlieue che si allarga ai piedi del carcere con tanto di battesimo, Morelli ha assicurato agli arcoti un esercito di armieri, pusher e forse sicari. «Diceva di avere a disposizione oltre 500 uomini» ha messo a verbale il pentito Vincenzo Cristiano. E su di loro i clan hanno voluto imprimere il proprio marchio criminale.
VETERINARIO FAI DA TE Ma l’indagine ha anche permesso di scoprire e documentare un giro di corse clandestine di cavalli, gestito personalmente da Domenico Francesco Condello, figlio del superboss Pasquale. Responsabile della scuderia che porta il nome del casato di famiglia, in parte – hanno scoperto gli investigatori – costruita su suolo demaniale, Condello jr, considerato «astro nascente dell’organizzazione criminale», era anche a capo del giro di corse e scommesse clandestine che era stato organizzato attorno ai suoi cavalli. Tutti pesantemente dopati.
IL MENGELE DEI CAVALLI Per questo deve rispondere non solo di diversi episodi di maltrattamento nei confronti degli animali, ma anche di aver somministrato ai cavalli farmaci inadeguati, non necessari, e persino guasti e mal conservati pur di migliorarne le prestazioni durante le gare, che generalmente si svolgevano sul tratto cittadino della Gallico -Gambarie.
IL GIRO DELLE SCOMMESSE A organizzarle per gli investigatori era proprio Condello, uno dei pochi per sangue e casato, in grado di bloccare una delle fondamentali arterie di collegamento fra la città e la montagna. Quando i cavalli dei Condello si misuravano in velocità e potenza su quella strada, da lì non passava nessuno prima che la corsa fosse finita. E nessuno doveva azzardarsi a disturbare. Anche perché, attorno a quelle gare c’era un giro di scommesse clandestine, con puntate da capogiro.
CONFERMATE LE ACCUSE Ma sotto inchiesta sono finiti anche altri soggetti nei mesi scorsi non raggiunti da provvedimento cautelare. Tra i 43 indagati c’è anche una dipendente dell’ufficio reggino, Silvana De Paoli.
COSE DI FAMIGLIA Moglie di uno degli indagati, Natale Canale – formale titolare della pizzeria Mirablu dietro cui si nascondevano i clan e autore delle minacce e dei danneggiamenti ai titolari della nota gelateria “Cesare”, “rei” di essere interessati al medesimo locale su cui anche gli “arcoti” avevano messo gli occhi – De Paoli avrebbe usato gli uffici dell’Agenzia per fare più di un favore. Per conto del marito, avrebbe infatti più volte controllato lo stato di una serie di proprietà immobiliari di terze persone, e lo stesso avrebbe fatto per Giuseppe Polimeni. Una violazione delle norme che regolano il lavoro in Agenzia, “truffata” da De Paoli anche sotto un altro profilo.
L’AMICO MEDICO Con la complicità del dottore Giuseppe Perina, oggi anche lui indagato, la dipendente dell’Agenzia avrebbe giustificato una prolungata assenza dal lavoro, attestando a suon di certificati un’inesistente malattia della figlia Fabiana, tanto grave da richiedere continua assistenza. Tutto falso per investigatori ed inquirenti, che per questo hanno iscritto De Paoli nel registro degli indagati anche con l’accusa di truffa aggravata.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it