Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 8:33
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 3 minuti
Cambia colore:
 

Truffa allo Stato, confisca alla società Corriere group

I finanzieri hanno messo i sigilli a un capannone industriale di Gioia Tauro. L’azienda sarebbe riuscita a gonfiare le spese per non pagare tasse per un valore di 1,2 milioni

Pubblicato il: 13/04/2018 – 7:20
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Truffa allo Stato, confisca alla società Corriere group
GIOIA TAURO Sulle carte dei progetti presentati ai ministeri competenti, era un grande stabilimento industriale in via di costruzione nei pressi del porto di Gioia Tauro. Ma in realtà altro non era che l’ennesimo specchietto per le allodole costruito solo per strappare finanziamenti pubblici e riciclare denaro dei clan. Per questo motivo, su richiesta della procura di Palmi e per ordine del Tribunale, i finanzieri del gruppo di Gioia Tauro hanno eseguito un provvedimento di confisca per equivalente nei confronti della “Corriere Group srl”. Sotto sigilli è finito un capannone industriale del valore di oltre 1,2 milioni di euro, pari ai finanziamenti e alle erogazioni pubbliche che negli anni i dominus della società erano riusciti a strappare allo Stato. Lo avevano scoperto anni fa i finanzieri di Gioia Tauro, coordinati dalla procura della Repubblica, che con l’indagine Corriere avevano disarticolato una vera e propria banda specializzata in truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, bancarotta fraudolenta, frode fiscale continuata, costruita tramite un vorticoso giro di false fatture per operazioni inesistenti e riciclaggio di proventi da attività illecita. All’epoca, in manette erano finiti Michele Caccamo, Domenico Pepè, Anna Maria Guzzi, Ferdinando Pepè, Salvatore Pepè e Rocco Castagna, tutti quanti a vario titolo coinvolti nella maxi-truffa allo Stato che ha permesso loro di incassare negli anni oltre 1,2 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle indagini, grazie a due ditte compiacenti, il gruppo sarebbe riuscito a gonfiare a dismisura le spese del programma di investimento previsto dalla 488, la legge che avrebbe dovuto rilanciare lo sviluppo industriale, ma in Calabria è servita in larga parte solo a ricoprire intere zone di capannoni vuoti. Il trucco era semplice: tramite due imprese di comodo venivano gonfiati a dismisura i costi di esercizio e l’iva a credito che servivano a “compensare” debiti erariali. Traduzione, la certificazione di spese mai eseguite serviva per non pagare tasse e tributi all’erario, mentre parte dei finanziamenti venivano stornati su conti correnti privati. In più – si legge nella nota della Guardia di Finanza –  dalle indagini della Gdf è emerso che socio occulto della Corriere group era Domenico Pepè, considerato affiliato al clan Piromalli, già in passato finito all’attenzione dei magistrati per le estorsioni alla Medcenter, vessata con una tangente da 1,5 dollari a container movimentato. Tutti elementi confermati in sede processuale dalla sentenza che in primo grado ha visto condannati tutti i principali imputati, incluso il “regista” della truffa, Michele Caccamo, cui però non è stata mossa alcuna accusa di mafia.

Alessia Candito a.candito@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

x

x