REGGIO CALABRIA C’è un filo nero che si srotola all’ombra della superassociazione che mette insieme mafie, logge, politica e grande industria su cui la Dda di Reggio Calabria sta indagando. È esile e non ancora pienamente definito, ma ha a che fare – e in modo diretto – con gli apparati di intelligence del Paese. Spioni, barbe finte, faccendieri in odor di servizi. Nelle 188 pagine di informativa che ricostruiscono la rete di contatti che ha fatto da sfondo alla latitanza di Marcello Dell’Utri e Amedeo Matacena, come agli affari delle grandi aziende italiane in Libano sono tanti gli uomini dei servizi che a vario titolo vengono chiamati in causa. Vecchi arnesi dei tempi di Gladio, vertici ufficiali del Sismi, faccendieri in odor di intelligence. Tra salotti romani e uffici più o meno discreti, si muove una galassia forse non ancora pienamente identificata di barbe finte. Un mondo attorno a cui sembra gravitare soprattutto la famiglia dell’ex sottosegretario del governo Berlusconi, Giuseppe Pizza.
MIO FRATELLO SPIONE Del resto, il legale proprietario del simbolo della Democrazia Cristiana i servizi potrebbe averli in casa. E ha anche finito per ammetterlo. Al sostituto commissario Gandolfo che con insistenza gli chiede se il fratello Massimo sia parte o meno dei servizi alla fine dice «potrebbe essere, sa». Lui – afferma senza convincere gli investigatori – da anni non ha più alcun contatto, ma un altro fratello sentirebbe Massimo regolarmente. E della sua appartenenza ai servizi «è convinto, io no, per la verità, pensavo che fosse una impostura, però..». Un’allusione che vale quasi come un’ammissione e sembra quasi confermare quanto lo stesso Massimo – quanto meno negli ultimi tempi – non esita a dichiarare apertamente.
SPECIALISTA DELLA CONFUSIONE Fino a qualche tempo fa invece si divertiva – o almeno sembrava farlo – a disseminare su internet un misto di verità e menzogne, come la vicinanza ad una presunta associazione dei musulmani italiani, diffuse tramite siti costruiti ad hoc. Non a caso, si legge nell’informativa firmata dalla Dia, «è indubbia ed innegabile la notevole abilità di Pizza Massimo, personalità poliedrica dotata di straordinarie capacità millantatorie, nel mischiare e confondere dati e notizie false con dati e notizie vere o verosimili, per mere ragioni di calcolo e di convenienza personale.
«IO, AGENTE DI GLADIO» Ex carabiniere ausiliario, ufficialmente intermediatore finanziario, considerato dagli investigatori truffatore e riciclatore di professione per questo finito al centro di diverse inchieste, da tempo Massimo Pizza sembra aver cambiato strategia. E adesso dichiara urbi et orbi di aver fatto parte del Sismi. «Ero un agente sotto copertura» assicura al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel 2016 «per conto dei Servizi Segreti italiani, della VII^ Divisione del Servizio Informativo del Sismi-Gladio» e «facevo capo all’Ammiraglio Martini».
LE CREDENZIALI DEL GENERALE Che i due si conoscessero, lo ha confermato anche l’ammiraglio in pensione Giorgio Capra, che fra i tanti incarichi ricoperti, è stato anche capo del Quarto Reparto Ricerca e Sviluppo del Segretariato Generale della Difesa e rappresentante del Ministero al Cipe per i progetti spaziali. Insomma, non esattamente uno sprovveduto. «Pizza me lo ha presentato negli anni ’90 l’Ammiraglio Martini, in una sala bar dell’allora Sismi» dice agli investigatori. Come mai Pizza passeggiasse da quelle parti, Capra non lo sa dire, tanto meno che rapporti avesse con l’allora capo del Sismi Martini, ma di certo deve averlo preso sul serio se una decina di anni dopo – e lui stesso lo ha ammesso di fronte agli investigatori- si è fatto coinvolgere da Massimo Pizza in una serie di tanto fumosi, quanto inconcludenti affari tra Dubai, Kuala Lampur e Tallin.
SPOILER SUL PAPA PER ORDINE DI POLLARI Ma Martini non è l’unico con cui Pizza fosse in contatto. Secondo quanto lui stesso ha dichiarato sotto interrogatorio al pm Giuseppe Lombardo, sarebbe stato in rapporti anche con Niccolò Pollari. O meglio, avrebbe preso ordini da lui per una missione delicata. Alla morte di Wojtila – dice – «cercavamo di sapere chi Papa … alla morte del Papa, chi Papa facessero». Ovviamente – spiega – «Per conto dei servizi … a me … mene fotteva del Papa». A incaricarlo, sostiene, il capo dell’Aise in persona, il generale Pollari perché – dice – «tutti gli Ossi (cioè gli appartenenti alla struttura ereditata da Gladio ndr) vengono comandati soltanto dai comandati dei servizi stanno all’orecchio, come si usa in massoneria». Di loro, dunque, non ci sarebbe traccia alcuna, ma sarebbero pienamente operativi. E per questo retribuiti e supportati – anche economicamente – nelle proprie missioni. Per sapere in anticipo il nome del futuro Papa, Pizza avrebbe stretto rapporti con monsignor Camaldo, il segretario del conclave, su cui da tempo “lavorava”. Allo scopo, aveva fatto stampare alcuni libri da lui segnalati o a lui graditi, accollando le relative spese all’Aise, ma – dice – «gli regalavo un sacco di soldi… gli ho regalato mobili… soldi contanti».
TRA LOGGE E BARBE FINTE Tuttavia Pizza non è l’unico a fare il nome di Pollari. A evocarlo è anche il pentito Cosimo Virgiglio, che lo colloca fra i frequentatori della segretissima loggia del Conte Ugolini, con sede a San Marino e fratelli sparpagliati fra ambasciate, vertici delle forze di polizia, dei corpi d’armata, nei cda delle grandi imprese – private e di Stato, partiti e istituzioni, ma soprattutto fortissimi agganci in Vaticano. C’erano – dice in un passaggio di uno dei suoi tanti interrogatori che di fronte al procuratore Lombardo, a distanza di anni Virgiglio conferma – «Ugolini, Balducci, poi c’era Camaldo, poi c’era Fisichella, poi c’era Phifer … Trougeux, Falk Belndolf, Caldirola, Lisi … poi fa riferimento a Pollari, Mori, Caltagirone, Luigi Aponte, Umbertos, tale Miceo … e dice si, questi sono pericolosissimi».
ALLA CORTE DI UGOLINI Ma che Pollari frequentasse quanto meno alcuni dei personaggi di quell’entourage e persino la villa in provincia di Roma che è stata una delle basi della loggia, lo dice anche l’imprenditore di Gioia Tauro, Carmine Cedro, che interrogato spiega «sono a conoscenza invece che la struttura era frequentata dall’ex Ministro Pisani e da Nicolò Pollari. Queste informazioni mi vennero fornite da Hugo Balestrieri». Un altro personaggio in odor di servizi – stranieri, per di più – inciampato in indagini di ‘ndrangheta che chiamano in causa i clan di Gioia Tauro.
BARBA FINTA E MASSONE Anche Balestrieri – dice Virgiglio – frequentava la loggia segreta di Ugolini, al pari di Massimo Pizza, arrivato a rimorchio del fratello Pino. Ma Massimo – spiega il collaboratore – «era vicino ad apparati di sicurezza o quantomeno si chiacchierava di questa sua vicinanza». Un dato emerso in passato in diverse inchieste, sebbene – anche a causa delle pirotecniche dichiarazioni del diretto interessato – sia stato preso con le pinze dai magistrati che le hanno gestite. Del resto, lo stesso Massimo Pizza si è più volte preoccupato di smentire qualsiasi contatto con i servizi.
IDENTITÀ A GETTONE All’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che lo ha più volte intercettato mentre chiacchierava con Egidio Lanari da più parti indicato come «il legale della P2», Pizza ha detto invece di essere in rapporti con lo Sco. Con il procuratore Woodcock si è lasciato andare a confidenze su Ustica, la morte di Ilaria Alpi e «una strettissima loggia massonica coperta, che ha rapporti con la criminalità calabrese e potenti coperture istituzionali». Per Palermo non è attendibile, mentre per i magistrati di Potenza è un «soggetto dai comportamenti truffaldini, ai limiti del patologico» e con «personalità disturbata».
LA RICHIESTA DI AIUTO DI FAUSTO DEL VECCHIO Tuttavia molte delle informazioni che Pizza ha fornito quando ancora non erano pubbliche sono state poi riscontrate e qualche contatto fra il sedicente spione e (chiacchierati) elementi di vertice dell’intelligence c’è. È il caso di Fausto Del Vecchio, storico braccio destro dell’ex numero 2 del Sisde Bruno Contrada, insieme a Massimo Pizza coinvolto in una storiaccia di tangenti e truffe che gli costa un’inchiesta della procura di Potenza. All’epoca, Del Vecchio lo sa che rischia l’espulsione dai servizi. Per questo contatta Massimo Pizza, chiedendogli di far arrivare un appunto difensivo sul tavolo di Enzo Bianco, all’epoca capo del del comitato parlamentare di controllo sui servizi, tramite i buoni uffici del fratello Pino.
TRUFFATORE DI PROFESSIONE Di certo, Pizza è sempre stato uno specialista della strategia della confusione, un abile affabulatore, dai più definito ingestibile, ma molto bravo a far girare denaro. O meglio – suggeriscono gli investigatori- a riciclarlo su canali esteri, come sembra che negli ultimi anni abbia cercato di fare sfruttando più o meno ignari ex militari, giudici e imprenditori, coinvolti in spregiudicate operazioni fra Malesia, Estonia ed Emirati. Ma «non può escludersi – scrive la Dia di Reggio – che abbia potuto far parte di una struttura segreta, ancorchè non puntualmente individuata e, probabilmente, parallela ai servizi di sicurezza dello Stato».
STRUTTURA DI SALVATAGGIO Per gli investigatori, sarebbe stato questo «apparato» a consentirgli « nonostante i suoi precedenti giudiziari e la sua discovery quale agente infedele, di rimanere nell’ambito relazionale privilegiato, sfruttando nel senso sia il profilo politico del fratello PizzaGiuseppe Salvatore (il quale, si ricorda, detiene la proprietà ope legis dell’utilizzo del simbolo dello “Scudo Crociato” appartenuto alla Democrazia Cristiana), sia il know-how acquisito nel settore illegale del riciclaggio internazionale, in ordine ai processi di reinvestimento di ingenti capitali illeciti».
LA RETE (ISTITUZIONALE) DEI TRUFFATI Non a caso – annota la Dia – anche di recente Pizza si sarebbe applicato ad una serie di complesse e poco trasparenti operazioni finanziarie all’estero, lungo i canali del riciclaggio internazionale «in compagnia di soggetti che ricoprono, o hanno ricoperto, importanti ruoli istituzionali». È il caso dell’ammiraglio Capra, di un giudice di pace di Roma, del generale Pietrantonio Costantini, fino al 2010 capo dell’ufficio che gestisce i servizi di scorta istituzionali, dell’avvocato Fioravanti, il quale cura gli interessi di Pardi, un ex Colonnello dell’Aeronautica, titolare di una ditta di supporto all’Augusta per la manutenzione di elicotteri.
VIZIO DI FAMIGLIA Per questo, gli investigatori della Dia non posso che concludere che Pizza è «soggetto di straordinaria pericolosità,alla continua ricerca di strumenti di promozione dei suoi prodotti pseudo finanziari, che da anni propina alle sue vittime, alcune sempre le stesse, risultando attento fruitore di notizie ed informazioni che scaturiscono dalla conoscenza e soprattutto dalla frequentazione decennale sia di soggetti che ricoprono ovvero hanno ricoperto incarichi istituzionali nell’apparato statale, e in particolare nei Servizi Segreti, sia di uomini di affari, soggetti finanziari ed imprenditori di altre nazioni». Una rete che forse in parte potrebbe aver mutuato dall’attività istituzionale e non dei fratelli ed in particolare del “politico” di famiglia, Giuseppe. Un altro che sembra avere una certa familiarità con ambienti dei servizi.
ALLA CORTE DEI CLAN CON L’UOMO DELLE TRAME Non a caso, a riferire di lui agli inquirenti è anche Franco Pazienza, uomo delle trame italiane, reclutato fra i ranghi della massoneria dal generale Santovito, il suo nome è saltato in relazione a Calvi, alle Br, alla tragedia di Ustica e ai crack bancari, ai sequestri di ‘ndragheta e persino in relazione allo scandalo che ha travolto Jimmy Carter e ha spianato la strada della presidenza degli Stati Uniti a Ronald Reagan. Insieme a Pizza, racconta Pazienza, negli anni Ottanta ha visitato la Calabria, dove è stato gradito ospite di don Stilo e del clan Araniti, il medesimo che il fratello di Pizza, Massimo, sostiene di aver infiltrato nel corso di una delle sue prime missioni per conto del Sismi.
AL LUTTO PER JOE Sempre nello stesso anno, Pino Pizza e Pazienza sono volati a New York, dove su richiesta del futuro legale proprietario del simbolo della Dc sono andati a rendere omaggio ai Gambino, nel giorno del funerale di Tommasino, padre del noto boss mafioso Joe. Tuttavia anche nel corso della sua attività istituzionale, Pizza ha avuto modo di avere a che fare con uomini dei servizi. Ed è lui stesso ad ammetterlo.
DALL’AISE AL DIS «Quando ero membro del Governo – dice, interrogato – ho avuto modo di conoscere e frequentare l’attuale capo dei servizi esterni Roberto Manenti (Alberto Manenti, ndr). L’ultimo contatto telefonico con questo è stato in occasione della sua nomina a direttore del servizio. Avevamo programmato una cena insieme ma non si è ancora concretizzata». Almeno a quanto dice. «Ho conosciuto Manenti – continua poi – perché mi occupavo dello “spazio”, inteso come attività spaziali italiani, quando ero sottosegretario al Ministero dell’Istruzione dell’Università e ricerca. In particolare mi interessavo del funzionamento della costellazione “Cosmos Skymet”, che aveva valenza duale cioè politica – militare». Anche al Dis, l’organismo che coordina le attività di Aisi e Aise, Pizza vanta qualche conoscenza. Il compagno della figlia della sua fidanzata per oltre trent’anni, è Giuseppe Paolo Scotto di Castelbianco, che dell’agenzia è responsabile per la comunicazione istituzionale. Del suo ex capo, il generale Massolo – forse futuro ministro degli Esteri – dice invece «lo conosco solo di vista e non ho mai avuto frequentazioni con lo stesso».
UNA STORIA DA RICOSTRUIRE Contatti, intrecci e rapporti apparentemente casuali, ma ugualmente inquietanti perché caratterizzata da una decisamente eccessiva costanza. Nella storia dei fratelli Pizza e non solo, l’ombra dei servizi appare una silenziosa costante. Ma anche nel solco della superassociazione su cui la Dda indaga e dei piani che nella sua orbita sono maturati, spioni e barbe finte affiorano ad ogni più delicato incrocio. Ci sono nelle concitate fasi dell’arresto di Matacena a Dubai e delle forse ignorate segnalazioni dell’allora capocentro, emergono nella rete di Speziali che per i magistrati di quella fuga si è occupato e forse dietro una serie di contatti che il nipote acquisito di Gemayel ha dimostrato di poter sfruttare. Una storia ancora tutta da ricostruire e che – forse – potrebbe aiutare a riscrivere anche parte della storia italiana.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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