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«Perché i vivi non ci fanno riflettere?»

di Maria Marino*

Pubblicato il: 06/06/2018 – 12:26
«Perché i vivi non ci fanno riflettere?»

Sembra ora una sola voce, l’intervento mediatico sull’assassinio del giovane sindacalista di San Calogero: da sinistra a destra tutti oggi dicono di essere indignati, la parola “razzismo” sembra correre da un discorso all’altro come unico filo conduttore che, in tutta franchezza, mi sembra sia inviso di una grande ipocrisia, da qualunque parte essa provenga: parola svuotata per significato e contenuto; indignazione solamente del momento? No, grazie.
 Non è di questo che i poveri hanno bisogno in questa nuova società, globalizzata e capitalista; economicamente forte, ma col potere nelle mani di pochi; con i paradisi fiscali disponibili ad accogliere quanti della solidarietà e della giustizia sociale non gliene frega proprio nulla, salvo poi continuare ad accumulare ricchezze coi sacrifici dei disperati. Non è della falsa solidarietà davanti all’orrore della morte di un ragazzo di 29 anni, che i poveri hanno bisogno; orrendamente falsa, perché se fosse vera, già da anni quell’orribile agglomerato di vite umane non starebbe in situazioni abitative così indegne: sono anni che il “problema Rosarno” è scoppiato, sono anni che la situazione non migliora ma degenera in conflitto sociale sempre più aspro ed incivile, sempre più indegno per una società che si pone tra i Paesi più industrializzati del mondo, o che siede tra i grandi del mondo a parlare di diritti umani e sottoscrive accordi a tutela e a difesa dei deboli.
 La Terra tutta è dell’Uomo in quanto tale: ci si dimentica troppo spesso che le organizzazioni politiche nazionali sono strutture create dall’uomo, per porre regole di convivenza civile tra gli esseri umani che occupano un dato territorio; i flussi migratori sono sempre esistiti per svariate ragioni, non solo guerre ma anche condizioni climatiche ne determinano il loro susseguirsi, proprio per questo sono detti “flussi”, perché si ripetono nel tempo da una zona all’altra della Terra. L’America è stata fondata (occupata) da migranti europei, compresi quelli che oggi incivilmente chiudono le porte al flusso proveniente dall’Africa. 
Che vergogna, morale prima che civile.
Condivisibile il pensiero, anzi il sentimento, di Antonio Maria Mira che su Avvenire.it del 5 giugno 2018, nel suo articolo “Ingiusta e nera è la morte” scrive «…la responsabilità è anche di tante distrazioni. Infatti noi riflettiamo quando ci sono i morti, ma perché i vivi non ci fanno riflettere? E anche i morti finiscono presto nel dimenticatoio…».
 Verissimo, le distrazioni sono tante a partire dal linguaggio che si usa quando si parla: quando un uomo muore non importa il colore della pelle, il credo religioso, la provenienza; un uomo è anima, cervello, sangue, gioia, dolore, tristezza… ma soprattutto è dignità umana. Da dove nasce la necessità di specificarne le caratteristiche razziali quando si riporta una notizia? È un uomo e basta, un delinquente o un uomo per bene, con un nome e cognome tutto suo, e sua è la responsabilità di ciò che fa, nel bene o nel male; fa notizia invece la specifica della nazionalità, come se l’animo umano dipendesse dal posto in cui nasci e non dal posto in cui vivi, in cui operi, dalle possibilità che hai di realizzarti, dalla rabbia o dall’amore che hai dentro e che ti circonda, dal calore che ti avvolge quando sei stanco, dal rispetto che ti sai guadagnare col tuo lavoro e con la tua personalità. Tutto questo fa di un essere vivente un uomo.
 L’accoglienza è giusto che sia organizzata e regolata, condivido anche la necessità di intercettare la malavita che sulla disperazione altrui si arricchisce, ma quando un bimbo arriva su un territorio, qualunque esso sia, occorre prendersene cura, non basta una bottiglietta d’acqua e dei vestiti nuovi, seppur necessari, non sono le sole cose di cui quel bimbo ha bisogno; insieme a lui arriva anche la sua dignità e il suo diritto umano ad avere opportunità reali di sopravvivenza e di aiuto alla realizzazione di una nuova vita, che dia senso e valore alle sfide affrontate per arrivare. In questo senso sono i vivi a doverci far riflettere, le morti servono solo ad attrarre superficialmente l’attenzione, se poi il background risulta essere lo squallore e l’annullamento della dignità dell’uomo in quanto tale.
 Ritornano inevitabilmente alla mente le parole di Primo Levi che racconta la vita dell’Uomo nei lager nazisti: tempi diversi, motivazioni diverse, popoli diversi ma uguale e deprimente situazione di negazione della dignità dell’uomo da parte di altri uomini, di altri poteri, di altri delinquenti… italianissimi stavolta.

*presidente regionale Federazione associazioni cattoliche italiane

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