Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 7:30
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

«La Calabria cambia se resta solidale»

di Bianca Laura Granato*

Pubblicato il: 09/06/2018 – 15:05
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
«La Calabria cambia se resta solidale»
È un segnale importante l’arrivo, lunedì prossimo, del presidente della Camera Roberto Fico alla tendopoli di San Ferdinando. Lì viveva Soumayla Sacko, il ragazzo maliano ucciso con un colpo di fucile alla testa mentre con altri due uomini, Madiheri Drame e Madoufoune Fofana, si trovava presso l’ex fornace “La tranquilla”, nella vicina San Calogero, probabilmente a raccattare vecchie lamiere con cui costruire un riparo. Nell’area dell’ex fornace esiste una «situazione di pericolo» per la salute, ha precisato lo scorso 23 marzo il ministro dell’Ambiente, rispondendo a un’interrogazione del collega 5stelle Paolo Parentela. Lo provano, si legge nel relativo resoconto, gli esami di laboratorio disposti dalla Procura di Vibo Valentia nell’ambito di un’inchiesta giunta a (interminabile) processo sullo sversamento illecito, in quel cimitero industriale, di circa 130mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi provenienti dall’Enel di Brindisi, di Priolo Gallo e Termini Imerese. Il presidente Fico ha annunciato la sua visita parlando dello sfruttamento, nella Piana di Gioia Tauro, di «migliaia di braccianti agricoli» sottoposti al caporalato. Infatti la tendopoli di San Ferdinando è una sorta di lager dentro un luogo di confine in cui vige la regola della prepotenza mafiosa. Questa è la verità, che spesso si ignora in malafede per alimentare una dialettica politica superficiale e lontana dal problema reale, cioè lo spopolamento della Calabria e la cancellazione in atto di diritti e servizi. Nella stessa Piana e più oltre non c’è sanità, come dimostrano l’assurda morte di Flavio Scutellà, il ritardo patologico nell’edificazione del nuovo presidio ospedaliero e lo stato pietoso degli ospedali di Polistena, di Locri, di Melito Porto Salvo, di Reggio Calabria e di Vibo Valentia: dal sovraccarico di Punti nascita e Pronto soccorsi al declino delle Ortopedie, dovuti all’inadeguatezza dei vertici dirigenziali, ormai rassegnati ai vecchi, immutabili rapporti di forza. Come se non bastasse, il Porto di Gioia Tauro è l’emblema del fallimento di una classe politica che con l’inceneritore – e non solo – ha avvelenato la Piana e a parte prodotto disoccupazione, ripetuti scioglimenti di consigli comunali e fughe spaventose dal territorio, immobile sul deserto generato da impunite speculazioni industriali. L’omicidio di Sacko puzza di ‘ndrangheta, come di ‘ndrangheta puzzano luoghi e simboli della Piana di Gioia Tauro. Innanzi all’abbandono delle strutture pubbliche e all’emigrazione che ne consegue, l’opera di Mimmo Lucano va riconosciuta come paradigma di accoglienza e fanale di speranza per il ripopolamento, l’economia e la riattivazione dei servizi pubblici essenziali. La Calabria può cambiare se resta solidale e se il nuovo governo nazionale coglie, come credo sappia fare, le potenzialità di sviluppo del territorio. Qui la sofferenza di calabresi e migranti, assieme colpiti e depredati dalla ‘ndrangheta, può ribaltarsi sostenendo sul piano politico l’inventiva di imprenditori visionari come Antonino De Masi, che ogni giorno combatte contro cosche, banche di potere e miopie istituzionali. La storia di De Masi, pure testimone di giustizia sotto scorta, è quella di un Sud che ha dimostrato e dimostra una volontà, una capacità di esistere e lavorare in contesti di pura sovversione, in cui il confine tra Stato e antistato è in molti casi mobile e sottile. È anche la storia di un Sud che rischia la vita perché non si arrende alle logiche della violenza e del degrado imposte ai calabresi, a Sacko e ai suoi compagni. Ed è infine la storia, quella di De Masi, di un imprenditore meridionale che ha sviluppato progetti industriali innovativi con ricercatori e università di prestigio: dal forno che prepara la pizza in automatico alla cella per sopravvivere ai terremoti. Ora De Masi vuol realizzare, proprio a Gioia Tauro, una nuova forma di “governance” aziendale a superamento del conflitto tra capitale e lavoro. Propone quindi un modello che consenta di distribuire ai lavoratori una quota degli utili. In tale prospettiva l’azienda, in cui verrebbe abolita la struttura piramidale di controllo, è strumento che può garantire un benessere a tutti e quindi un bene pubblico da tutelare. Con l’esperienza, il coraggio, l’affidabilità e lo spirito meridionalistico di De Masi, se il governo Conte investisse politicamente bene si potrebbero formare e occupare molti operai e laureati, dando un messaggio diverso a quell’Italia che guarda alla Calabria – e ai suoi migranti – con lenti ancora deformate.

*Senatrice M5S

Argomenti
Categorie collegate

x

x