C’è la virtuosa Emilia-Romagna, dove quasi tutti i cittadini (il 98%) vengono soddisfatti. E per una prima visita di oculistica o cardiologia o per una colonscopia la durata dell’anticamera è quella prevista dal piano nazionale sulle liste di attesa: 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli esami di diagnostica. Il sistema è trasparente, l’appuntamento si prende attraverso un centro unico di prenotazione, se manca la risposta tempestiva la direzione generale interviene dirottando il paziente sul privato-accreditato senza che paghi un euro.
E poi c’è la Calabria. Dove – citiamo le parole del commissario ad acta per la Sanità, Massimo Scura, al Corriere della Sera di martedì – «è una vera vergogna. È un problema culturale che attecchisce col beneplacito della politica, a sua volta collusa». Scura si riferisce ai dati del dossier che la ministra della Salute Giulia Grill ha chiesto alle Regioni per monitorare la lunghezza delle liste d’attesa e dei provvedimenti adottati per accorciarle. Quei dati mostrano che a Reggio Calabria solo la metà di visite e diagnostica viene messa in agenda entro i tempi, il resto funziona col motore delle amicizie giuste. Chi non trova posto si rivolge ai medici dell’intramoenia, l’attività privata svolta in ospedale «in orario di servizio», aggiunge Scura chiarendo però che a Cosenza e Catanzaro la situazione è meno drammatica.
Il quadro complessivo nazionale, invece, mostra miglioramenti in molte aree, grazie a correttivi e investimenti di soldi e personale. Altrove invece non ci sono stati che temporanei e poco percepibili miglioramenti.
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