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Appalti truccati, gli imprenditori si erano spartiti l'Italia
A capo del cartello messo nel mirino dalla Procura di Castrovillari ci sarebbero i Perrone, i Filippelli e Benincasa. Tra loro un patto per dividere in due il Paese. E monopolizzare il mercato
Pubblicato il: 13/07/2018 – 19:27
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COSENZA Le regole del mercato degli appalti emerse dall’operazione “Accordo comune” condotte dalla guardia di finanza con la direzione della Procura di Castrovillari erano queste: tre società gestivano un cartello di imprese vasto, si partecipava alle gare indette dai comuni e poi comunque andassero le cose ognuno riceveva la sua quota. A capo del cartello delle imprese c’erano Damiano e Antonio Perrone, il primo titolare della Co.Ge.Ca Sas e il secondo titolare di una ditta individuale. Poi c’era Rosario Filippelli con la Filippelli Costruzioni Srl e Piero Benincasa con la Edil Benincasa e la Be costruzioni e servizi Srl.
Negli anni, secondo le indagini prodotte dalle fiamme gialle, il sistema di gestione delle gare si era ben consolidato. L’organizzazione funzionava a menadito e soprattutto nel Comune di Corigliano con i funzionari conniventi gli affari e i quattrini degli appalti venivano gestiti con estrema semplicità e sistematicità. Non è un caso che la Procura contesti proprio ai manager comunali il loro totale disinteresse nelle operazioni immediatamente successive alle gare d’appalto non controllando né l’andamento dei lavori, né la serie di sub-appalti fatti dalla impresa aggiudicatrice.
IL PATTO DEL CARTELLO Partecipare a più appalti possibile e ovviamente vincerli. Tutto doveva seguire una logica studiata e che soprattutto nel rispetto della “forma” non facesse mai e poi mai dubitare della regolarità di quanto si stesse realizzando. L’organizzazione del cartello retto da Perrone-Benincasa-Filippone secondo la Procura di Castrovillari, aveva un funzionamento che teneva conto delle richieste di tutti. Il funzionamento è individuabile secondo quest’ordine di priorità: uno degli associati sollecitava alla partecipazione di un appalto, le esigenze di tutti sono soddisfatte partecipando a tutti i bandi nazionali possibili e quindi capita che vinto l’appalto ad eseguire i lavori è quella più vicina al luogo dove si fanno i lavori oppure che aveva “sollecitato” la partecipazione al bando. L’impresa vincitrice viene però gratificata con una percentuale (solitamente il 5% del totale aggiudicato).
IL CARTELLO CHE VOLEVA L’ITALIA Il trio Perrone-Benincasa-Filippone aveva un obiettivo ben preciso: monopolizzare il mercato degli appalti pubblici. E vista la “capillare” organizzazione aziendale che i tre avevano messo in piedi i confini calabresi non bastavano più per questo si arrivò al patto di divisione dell’Italia. Secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta la linea di confine era stata tracciata sul Molise. L’Italia del nord e del sud degli appalti doveva essere gestita in questo modo. A nord di Campobasso era competenza di Benincasa a sud il duo Perrone-Filippelli poteva agire quanto e come voleva.
Certo, lo dimostrano le tante intercettazioni telefoniche, tra i tre il contatto era più che frequente. Le decisioni dovevano essere più o meno condivise anche perché altrimenti sarebbero venuti meno i benefit del cartello illegale messo in piedi con tanta fatica. I tre avevano a disposizione i timbri delle imprese che si erano associati, nonché diversi moduli pre-stampati, da inserire nelle buste nel momento in cui si partecipava alle gare d’appalto. E la divisione, come accertato dagli inquirenti, era anche fisica. Piero Benincasa lavorava dalle Marche, Antonio Perrone e Rosario Filippelli invece avevano sotto controllo la provincia di Cosenza e la Campania.
MANTENERE GLI EQUILIBRI Proprio mentre i finanzieri della Sibaritide di Corigliano e Rossano conducevano le indagini tutto ha rischiato di sbriciolarsi. In una intercettazione telefonica Piero Benincasa lamenta la partecipazione delle ditte riconducibili a Perrone e Filippone ad una gara di appalto. Per Benincasa i due avevano “sconfinato” e questo non andava bene. «Io avevo parlato chiaro con Vincenzo – dice l’imprenditore al telefono – fino al Molise potevano fare quello che volevano, però Abruzzo, Marche, Emilia Romagna la dovevano lasciare stare, questi erano i concetti quando abbiamo parlato con Vincenzo, Poi del resto loro da lì a scendere potevano fare tutto quello che volevano, però qua non ci devono venire a mettere le mani. Io le meni giù non le ho mai…sempre alzato le mani sotto ho detto fate quello che volete, però se è di questa maniera no». I “vertici” del cartello discutono molto della vicenda. «Antò (Perrone, ndr) – continua Benincasa – se la situazione è questa allora pure io posso venire a fare una gara in Calabria, a Corigliano».
Michele Presta m.presta@corrierecal.it
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