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Gli "spacconi" del clan di Gallico
L’arroganza di Loielo con i familiari («vent’anni ed esco»). Le richieste musicali da ‘ndranghetisti doc. Le millanterie di Iannò. Il quadro di una cosca raccontato nei colloqui intercettati dalla Dd…
Pubblicato il: 25/07/2018 – 20:28
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REGGIO CALABRIA Millantatori, spacconi, bugiardi. Monitorati dagli investigatori durante la detenzione, gli uomini dei clan di Gallico finiti dentro per l’omicidio Canale, sembrano un catalogo dei più triti cliché sulla cosiddetta “ominità”. Ma quello che costantemente recitano non è che un racconto a beneficio di un pubblico, per proteggersi da quello che gli altri possano pensare o dedurre. A dispetto di come la ‘ndrangheta nel tempo si è raccontata e da troppi è stata raccontata, tra i clan tradimenti, pentimenti, soffiate, “tragedie” sono pane quotidiano. E chi di quel mondo fa parte ne è perfettamente consapevole. Per questo si mostra per passare inosservato, le spara fin troppo grosse per allontanare i sospetti. Quanto meno fin quando prove e indizi non li inchiodano e iniziano a sentire il peso della possibile condanna.
TRA ARROGANZA E TIRAMISÙ Forse per la giovane età, forse per una personale tracotanza, Cristian Loielo, considerato dagli inquirenti uno dei killer di Giuseppe Canale, non sembra sentire il peso delle accuse che gli vengono mosse. Storico sodale dell’altro sicario, oggi pentito, Nicola Figliuzzi, quando viene a sapere che l’amico di sempre ha iniziato a collaborare con i magistrati è fra i primi e fra i più feroci fra quanti si scagliano contro di lui. Con i familiari, mentre disquisisce di dolci e tiramisù, si mostra spavaldo e quasi si vanta degli anni che dovrà passare dietro le sbarre. «Vedi di aggiustare casa – dice alla madre – che io altri 20 anni ed esco».
LA MUSICA DEI CLAN E probabilmente per dissipare i sospetti degli altri detenuti e proclamare la propria fedeltà all’organizzazione, chiede ai familiari persino di fargli avere musica adatta allo scopo. Al compagno della madre, chiede con insistenza di spedirgli il cd “I malandrini cunfinati”, raccolta di tarantelle e canti popolari che inneggiano alla ‘ndrangheta e al carcere, e che l’uomo tenterà di far passare fra le sbarre dentro la custodia di “Latino28”.
«NIENTE BABBI, IO SONO PRINCIPALE» Non meno borioso si mostra Sergio Iannò, considerato uno degli ideatori dell’omicidio Canale. Si sente uomo importante, ‘ndranghetista di peso. Ai familiari che vanno in carcere a visitarlo e si preoccupano delle sue condizioni, dice quasi con disprezzo: «Qui sono un principale, non nu babbu senza offesa, che ti pare con chi hai a che fare?». E ancora «ma che ti pare che qui dentro è entrato un pincopallino, questa roba (cibo e altro, ndr) me li hanno dati gli altri e non vi preoccupate che qui sono rispettato non perché non sono mai stato arrestato». A lui – si gloria – ci ha pensato anche il boss Michele Crudo, che uscendo dal carcere gli avrebbe lasciato in eredità indumenti e altro.
MILLANTERIE UN TANTO AL CHILO Circostanze tutte da verificare perché Iannò non è nuovo a clamorose millanterie. Ai familiari racconta infatti che nelle fasi dell’arresto avrebbe addirittura strappato il passamontagna e minacciato l’agente del Ros che gli stava stringendo le manette ai polsi, ma per il gip si tratta di clamorose millanterie. Allo stesso modo, poco credibile – dice il giudice – è che «(i carabinieri) sono venuti alle tre di notte, perché sapevano che altrimenti gli avrei fatto la barba (ndr. sarebbe scappato)».
L’ONORE DELL’INTERROGATORIO Per Iannò poi sembra quasi motivo d’onore l’essere stato interrogato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, e appare inorgoglito quando il fratello gli riferisce «è venuto da noi la sopra, con il giaccone». E Iannò lo incalza «quello con la barbetta? Con gli occhiali» fin quando (soddisfatto) non ottiene la conferma: «Quello che era lì alla conferenza stampa».
“LEONI” SCONSOLATI Ben diverso è l’atteggiamento di boss e gregari quando si rendono conto che le prove li inchiodano e i processi, nonostante il lavorio degli avvocati, volgono al peggio. È il caso di Domenico Marcianò, finito in carcere nell’operazione Fata Morgana come dirigente della costola del clan Condello operativa su Gallico e in seguito raggiunto da nuove accuse come mandante dell’omicidio Canale. Di lui, il pentito Vasvi Beluli diceva: «Domenico impartiva ordini a tutti gli altri componenti del gruppo. Nello specifico, parlava della commissione di futuri ed ulteriori omicidi, nonché della circostanza di essersi di recente approvvigionato di vari fucili e pistole, se mal non ricordo, ammontanti complessivamente in tredici pezzi». E si riprometteva di usarli. Ma di quella tracotanza è rimasto poco o nulla nei colloqui con la moglie a cui dice quasi sconsolato: «Patrizia non c’è niente da aspettare, come… che aspetto… questo qua l’ultimo non può… ha nominato un casino di gente. Non c’è niente, proprio zero».
Alessia Candito a.candito@corrierecal.it
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