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Reventinum, tutti convalidati i fermi
Il giudice “legittima” gli arresti nel lametino. Altre tre misure erano state confermate in Piemonte. L’operazione ha coinvolto capi e affiliati delle cosche Scalise e Mezzatesta
Pubblicato il: 14/01/2019 – 19:02
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LAMEZIA TERME Sono stati convalidati anche dal gip di Lamezia Terme 9 dei 12 fermi eseguiti lo scorso 10 gennaio dai carabinieri del comando provinciale di Catanzaro, su richiesta della Dda del capoluogo, nel corso dell’operazione “Reventinum” messa in atto contro quelli che le indagini indicano essere i capi e gli affiliati delle cosche Scalise e Mezzatesta operanti nel territorio montano del Reventino.
Legittimo, dunque, il fermo di Pino Scalise, Luciano Scalise, Andrea Scalzo, Angelo Rotella, Vincenzo Mario Domanico, Cleo Bonacci, Eugenio Tomaino, Giovanni Mezzatesta e Luvio Mezzatesta. I fermi di Ionela Tutuianu, Giuliano Roperti e Salvatore Domenico Mingoia erano già stati convalidati dal gip piemontese competente per il territorio in cui i i tre indagati erano stati arrestati.
«Il fermo è stato legittimamente eseguito – scrive il gip di Lamezia – nei confronti degli indagati, tutti soggetti gravemente indiziati dei reati di partecipazione – per alcuni con il ruolo qualificato di capi/promotori – ad associazione a delinquere di stampo mafioso». Inoltre quando è stato eseguito il fermo «sussisteva il presupposto del fondato pericolo di fuga». Gli indagati, infatti, sono stati intercettati in più occasioni a parlare di indagini a proprio carico, a cercare microspie, a predisporre linee difensive «volte a edulcorare le proprie responsabilità».
GUERRA ARMATA TRA SCALISE E MEZZATESTA Una «contrapposizione militare» quella tra i gruppi Scalise – del quale fanno parte secondo l’accusa Pino Scalise, Luciano Scalise, Andrea Scalzo, Vincenzo Mario Domanico, Angelo Rotella, Salvatore Domenico Mingoia e Cleo Bonacci – e Mezzatesta – al quale apparterrebbero Giovanni Mezzatesta, Livio Mezzatesta, Ionela Tutuianu, Eugenio Tomaino e Giuliano Roperti. Una rivalità che avrebbe spezzato nel 2001 la pace interna a quello che era il cosiddetto “gruppo unico della montagna. La mela della discordia, stando alle indagini, sono i lavori per la strada del Medio-Savuto con tutte le lucrose attività che comportano agli occhi di una consorteria criminale: attività di movimento terra, accaparramento di lavori pubblici, ditte da tenere sotto racket e ditte da favorire. Il “gruppo”, dicevamo, si spezza il 30 luglio del 2001, con il tentato omicidio di Pino Scalise, promotore/organizzatore/direttore dell’omonima cosca insieme a Luciano Scalise. Rotella, Mingoia, Domanico Scalzo e Bonacci sono considerati partecipi, affiliati alla cosca con la consapevolezza di scopo e di vincoli. A capo della cosca Mezzatesta vi sarebbe Domenico Mezzatesta – in carcere per duplice omicidio – marito di Ionela Tutuianu che aveva il compito, secondo gli investigatori di riportare dal carcere le direttive del consorte agli altri affiliati.
CAPI DI IMPUTAZIONE Oltre all’associazione mafiosa (contestata a tutti), agli indagati vengono contestate, a vario titolo, altre accuse. Come il sequestro di persona avvenuto nell’estate del 2012 ai danni dell’avvocato Francesco Pagliuso (ucciso il 9 agosto 2016), contestato a Piano Scalise che avrebbe agito in concorso con i defunti Daniele Scalise, Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio (tutti e tre morti di morte violenta tra il 2013 e il 2014). Vi è, sempre per Pino Scalise, anche l’accusa di violenza privata che questi avrebbe perpetrato ai danni dell’avvocato Pagliuso in concorso con i deceduti Daniele Scalise, Iannazzo e Vescio e con l’avvocato Antonio Larussa (la cui posizione è stata definita in un separato procedimento), quest’ultimo quale concorrente morale in qualità di istigatore nella fase dell’ideazione del delitto, istigazione posta in essere attraverso la prospettazione ai suddetti Scalise Pino, Scalise Daniele, Iannazzo Francesco e Vescio Giovanni, di una sorta di scarso impegno professionale da parte dell’avvocato Pagliuso Francesco, ovvero di commissione da parte di quest’ultimo di errori nella linea difensiva, nell’ambito di un processo penale allora pendente presso il Tribunale di Cosenza, che vedeva imputato Scalise Daniele per il delitto di truffa, oltre che della mancata consegna delle carte procedurali da parte dell’avvocato Pagliuso al Larussa, che nel frattempo era stato nominato co-difensore dallo Scalise Daniele». Piano Scalise avrebbe costretto «con violenza e minaccia di morte a mano armata, da parte delle plurime persone riunite sopra indicate, l’avvocato Francesco Pagliuso a seguire la linea difensiva prospettata da lui e dai suoi sodali, ad accettare o tollerare la co-difesa con l’avvocato Larussa, nel predetto processo e a fare sostanzialmente ciò che lui e i suoi sodali gli imponevano, dopo averlo incappucciato, condotto in un bosco, malmenato e trascinato di fronte ad una buca scavata con un mezzo meccanico, il tutto accompagnato dalla minaccia di essere scaraventato all’interno di quella buca, in modo tale che il corpo non sarebbe più stato ritrovato».
Sempre Pino Scalise è accusato di avere costretto con la minaccia l’avvocato Pagliuso «a fare/tollerare/omettere alcunché nella conduzione degli affari della propria vita quotidiana», dissimulando la minaccia come un premuroso avvertimento, reso ancora più minaccioso dal fatto di essere fatto pervenire dalla cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte di Sambiase. L’avvocato che in quel periodo difendeva il rivale degli Scalise, Domenico Mezzatesta, veniva avvertito di fare bene attenzione ai suoi spostamenti perché poichè “loro, quelli di là” (per tali intendendo i criminali ndranghetistici sambiasini) osservavano i suoi movimenti.
Luciano Scalise e Angelo Rotella sono accusati di estorsione ai danni di un imprenditore di Decollatura al quale erano stati incendiati un capannone e una macchina agricola costringendolo a desistere nel realizzare un’attività di commercializzazione del cippato eliminando dal mercato di un serio concorrente in quella specifica attività imprenditoriale, a tutto vantaggio dell’altra ditta “amica” operativa nel settore.
Sempre Scalise e Rotella sono accusati di danneggiamento seguito da incendio per l’incendio causato all’imprenditore.
Tutti i reati sono aggravati dal metodo mafioso.
Il gip di Lamezia, competente per territorio, dopo avere disposto la custodia cautelare in carcere per gli indagati, ha rimandato gli atti al pubblico ministero essendo giuridicamente competente del procedimento il gip del Tribunale di Catanzaro che ha ora 20 giorni di tempo per emettere una nuova ordinanza.
Alessia Truzzolillo a.truzzolillo@corrierecal.it
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