COSENZA Per i giudici di secondo grado non fu critica politica ma diffamazione. La Corte di Appello di Catanzaro ha ribaltato la sentenza di assoluzione che era stata emessa in primo grado e «ha condannato il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto ritenendolo responsabile del reato diffamazione aggravata» nei confronti del vicepresidente del consiglio regionale Pino Gentile. A renderlo noto è l’avvocato di Gentile, Guido Siciliano, il cui appello è stato accolto dai giudici di secondo grado (prima sezione penale, presidente Loredana De Franco) che hanno riformato la sentenza di assoluzione che era stata emessa dal Giudice monocratico di Cosenza.
I FATTI Nel settembre del 2014 – è la ricostruzione del legale di Gentile – erano in corso le “manovre” per la presentazione delle liste per le elezioni provinciali di Cosenza. I candidati alla presidenza della Provincia erano per Ncd il sindaco di Rende Marcello Manna, per Forza Italia il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto e per il Pd il sindaco di Cassano Gianni Papasso. Secondo Occhiuto alcuni consiglieri prima avevano sottoscritto la sua candidatura e poi l’avevano ritirata per sostenere quella di Manna. Il sindaco di Cosenza espresse il suo disappunto sul suo profilo Facebook con un post al veleno contro Pino Gentile dal
titolo «Elezioni provinciali Gentile adotta i suoi soliti metodi», aggiungendo poi nello scritto che «i consiglieri comunali non possono essere trattati come pedine da spostare da una parte all’altra» e che «le adesioni ad un progetto e poi il voto devono essere libere e spontanee e non frutto di coercizioni false promesse e millanterie… bisogna opporsi ai sistemi di pressione mafiosa». Quindi la conclusione: «Se si vuole il bene della Calabria bisogna avere il coraggio politico di rifiutare per le elezioni regionali i voti della mafia e di Gentile». Partì subito la querela di Gentile, la Procura di Cosenza chiese per due volte l’archiviazione ma ci fu l’opposizione dell’avvocato del vicepresidente del consiglio regionale che riuscì poi ad ottenere l’emissione di una imputazione coatta dal parte del Gip. Il Giudice monocratico, come detto, emise una sentenza di assoluzione perché il fatto veniva inquadrato nel diritto di critica politica, ma in appello i giudici hanno accolto le tesi sostenute dall’avvocato Siciliano secondo cui è «pienamente integrato il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa».
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