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Nozze finte per gli immigrati a Cosenza, per il Riesame è associazione a delinquere
Il Tdl accoglie in parte il ricorso presentato dalla Procura. L’inchiesta verte su sette matrimoni organizzati nel capoluogo
Pubblicato il: 02/05/2019 – 16:37
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di Michele Presta
COSENZA L’esistenza di una organizzazione c’è, seppure sia «rudimentale», e ha un obiettivo ben preciso: «Commettere un numero indeterminato di reati per favoreggiamento della permanenza illegale sul territorio italiano di cittadini stranieri illegalmente presenti nella nazione». I giudici del Tribunale del Riesame di Catanzaro ritengono che nei confronti di Armando Leporato, Elisa Zanfino, Emilia Antolino, Uberto Molino, Giulia De Rose e Andrea Feraudo sussistano gravi indizi di colpevolezza del reato di associazione a delinquere. Tutti sono coinvolti nell’operazione “San Valentino” (qui la notizia) coordinata dalla Procura della Repubblica di Cosenza (guidata da Mario Spagnuolo; l’inchiesta è firmata dall’aggiunto Marisa Manzini e dal pm Giuseppe Cozzolino) e partita da una indagine di anti terrorismo dei carabinieri del Ros di Salerno. I militari cercavano terroristi ma trovarono un gruppo di persone che a Cosenza avevano creato una fitta rete di rapporti per combinare matrimoni finti con l’unico scopo di fare ottenere la cittadinanza a stranieri arrivati in Italia illegalmente. «Matrimoni sulla carta, non per amore» si dice in una una delle tante intercettazioni presente nell’informativa redatta dai carabinieri. Per Armando Leporato ed Elisa Zanfino vige la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di Cosenza e di presentarsi alla polizia giudiziaria. Un provvedimento che per i giudici è necessario affinché si eviti che gli indagati possano commettere ancora lo stesso tipo di reato.
ALL’ALTARE CON UN TARIFFARIO Sette in tutto gli episodi di matrimoni finti che i carabinieri avrebbero accertato; altri – dal tono delle intercettazioni – si intuisce come siano sfumati per meri motivi di accordi venuti meno. Secondo l’accusa, trovare una moglie poteva costare fino a 7mila euro, mentre un marito 4mila. La differenza di prezzo, secondo gli investigatori, dipendeva dalla difficoltà di reperire donne disponibili. Ma il “sì” all’altare era soltanto l’ultima parte della filiera. Per queste ragioni l’ufficio di procura, nel ricorso di appello all’ordinanza del Gip del Tribunale di Cosenza redatto dal procuratore aggiunto Marisa Manzini, ha insistito affinché venissero riconosciuti i requisiti della gravità indiziaria rispetto all’ipotesi di reato associativo. Gli indagati dividevano tra di loro i compiti. Elisa Zanfino, per esempio, scrivono i giudici, «doveva mantenere i contatti con gli immigrati», la compagna di Armando Leporato (ritenuto il coordinatore di tutte le attività illecite) doveva anche trovare gli appartamenti per gli extracomunitari. Nelle abitazioni messe a disposizione, sempre ai fini documentali, le coppie avrebbero condotto la loro esistenza. Trovare persone pronte a sposarsi rappresentava, per come emerge dagli atti di indagine, la cosa più difficile da fare. Circostanza che spinse gli organizzatori delle nozze a mettersi personalmente a disposizione.
Leporato per esempio aveva contratto matrimonio con Benhamou Saida, mentre Elisa Zanfino era stata anche testimone di nozze di un’altra coppia. Del giro, tutt’ora indagati, avrebbero fatto parte anche diversi migranti come Jamal Alt Haddou. L’uomo è stato intercettato mentre raccontava di un «suo amico» appena arrivato e pronto a conoscere la sua nuova consorte. Ma c’è anche Hamid Ait Alì che riceveva dai connazionali pressioni affinché chiedesse (a Leporato e Molino) di uomini o donne pronti a sposarsi. Certificati di attestazione dello stato celibe del contraente, ma anche mediazione per un prezzo che potesse soddisfare i due contraenti in alternativa divorziare e convogliare di nuovo a nozze, «mettiamo però che con la separazione mi sposo con un altro, mi tiro via 5mila euro?». Per i giudici, gli indagati: «Collaborano tutti secondo ruoli determinati». Una collaborazione che a parere dei giudici si può ben sintetizzare nel concetto di “partecipazione”. «Non è necessario che ciascun comportamento sia apprezzabile in termini penalistici – scrive il collegio- perché ciò che conta è la finalizzazione delle condotte e la loro corrispondenza ad un programma associativo». Il fine sono i finti matrimoni, evidenziano i giudici, un obiettivo comune certificato dal fatto che diversi sono pronti a «prestarsi in prima persona». (m.presta@corrierecal.it)
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