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“Zigulì”, la vita dolceamara di un padre e di suo figlio disabile

Intensa interpretazione di Francesco Colella al teatro Comunale di Catanzaro

Pubblicato il: 04/05/2019 – 16:55
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“Zigulì”, la vita dolceamara di un padre e di suo figlio disabile
di Maria Rita Galati CATANZARO Il regalo per la seconda candelina del nuovo CineTeatro Comunale avrebbe dovuto portarlo il pubblico. Tanto, variegato e affezionato, che non finisce di ringraziare Francesco Passafaro e il “Teatro Incanto” per la lucida follia, e l’immenso coraggio, con cui hanno rimesso in piedi questo prestigioso e storico contenitore culturale nel cuore del Capoluogo di regione. Invece, ancora una volta, offre la casa. “Zigulì” è uno spettacolo di Massimiliano Verga, autore del libro da cui è tratto. La regia è di Francesco Lagi, per una produzione Teatrodilina. Francesco Colella dà un volto, una voce e un corpo alle riflessioni, dure, brevi e lancinanti, raccolte nel libro di Verga – che sale timido ed emozionato sul palco al termine di uno spettacolo che tiene tutti con gli occhi umidi puntati verso la scena, 42enne dall’aspetto di una ragazzo, professore all’Università Bicocca di Milano, padre di Moreno – che cerca di spiegare cosa è la vita con un figlio disabile. Trasmettere la complessità di sentimenti e di stati d’animo che le parole possono solo lontanamente raccontare, era quasi una missione impossibile. Ma l’interpretazione intensa e coinvolgente di Francesco Colella si condensa in quel groppo di commozione che si ferma nella gola e si scioglie rigando il viso con una lenta e inconsapevole lacrima. E il diario intimo di un padre diventa teatro, per andare oltre il dolore e la sofferenza. La scena si apre con un palcoscenico pieno di giocattoli e palloncini, i resti di una festa di compleanno, un caos che si assottiglia, riflessione dopo riflessione, fino a rimanere svuotata quasi che con gli oggetti il padre avesse voluto chiudere con quel figlio troppo ingombrante. “Se hai un figlio handicappato, due più due non fa mai quattro”. Verità e certezza di chi non può spiegare a chi non può capire fino in fondo cosa significhi vivere con un figlio disabile, se non sei suo padre o sua madre. Come spiegare la difficoltà di relazionarsi ad un ragazzino di otto anni “che ha il cervello grande come una zigulì”, che non vede, si agita, lecca, urla e conosce tre parole: nanna, pappa e cacca. “Ho pensato di ucciderti. Ho pensato di uccidermi”, è solo una delle tante ammissioni a cuore aperto che il padre alterna parlando con se stesso, con il figlio, con il pubblico. Domande come: sei felice? Quando ti lascio dondolare, cosa che gli psicologi sconsigliano perché in quel momento il bambino si chiude maggiormente in se stesso. “Il punto è che fai di tutto per renderlo sereno, ma ti accorgi che non ci riesci. Ho fatto abbastanza? è una domanda che ti perseguita. Se lo chiedono i genitori in generale, figuriamoci in una situazione di disabilità. Se smettessi di avvertire tale inadeguatezza vorrebbe dire che non sono più accanto a lui”. Felicità e amarezze, dolcezza e inquietudini quotidiane per un padre che sembra essere arrivato al limite proprio nel racconto di un disagio quotidiano che non lascia spazio al vero io di un uomo che ha rinunciato a se stesso nel nome di quel bambino che non gli sorride e non gli viene incontro. Invece proprio in quelle parole a volte di rabbia a volte di rassegnazione c’è quel legame d’amore indissolubile destinato ad andare oltre la vita stessa. Ma poi è lo stesso bimbo di otto anni che con la sua anima e un singolo gesto trasforma tutto. E ai figli che stanno bene, ai quali sicuramente non si toglie né affetto né spazio, il padre chiede in una breve e commovente lettera, nel finale, di placare quella preoccupazione costante e pungente per il futuro, strappando la più importante delle promesse: prendersi cura del loro fratello disabile Ma lo chiede per lui, prima che per il fratello. Colella è il nostro Francesco. Nato a Catanzaro, dove torna spesso e volentieri per stare con mamma e papà, e una schiera adorante di amici e parenti che lo segue e lo accoglie. Restituendo sempre quel sorriso dolce, sintomo di una sincera umiltà di chi non si è montato la testa ma si sente fortunato per aver realizzato il sogno di fare il mestiere che voleva. E’ il nostro attore, che si diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico e diventa uno degli attori principali di Luca Ronconi, con il quale ha lavorato in 17 spettacoli. Il nostro Francesco che conquista il grande pubblico della tv di stato recitando in fiction di successo, approda perfino su Sky Atlatic, e arriva sul grande schermo con un film delizioso, come Due Piccoli Italiani, di e con Paolo Sassanelli, che abbiamo avuto il piacere di vedere anche al Magna Graecia Film Festival. E nonostante questo, quando alla fine dello spettacolo lo aspetti per salutarlo, continua a sorridere e a ringraziare per essere venuto, come un ospite perfetto al momento del commiato dopo una cena tra amici. (redazione@corrierecal.it)
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