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Depuratori “spenti” e patologie anomale. L’allarme di Spagnuolo sull’ambiente

Il procuratore di Cosenza alla Commissione ecomafie: «I controlli in Calabria non esistono. E il Crati è un fiume ad alto rischio». I risultati preoccupanti di uno studio Cnr-Unical su malattie e i…

Pubblicato il: 03/06/2019 – 12:58
Depuratori “spenti” e patologie anomale. L’allarme di Spagnuolo sull’ambiente

di Pablo Petrasso
COSENZA
«La situazione» in materia ambientale nella provincia di Cosenza «non è assolutamente tranquilla». Poco meno di due mesi fa, il 9 aprile, il procuratore Mario Spagnuolo viene ascoltato dalla Commissione Ecomafie in missione a Reggio Calabria. Il resoconto stenografico della sua audizione rilancia vecchie questioni e apre nuovi allarmi in un’area nella quale il magistrato – dopo l’esperienza a Vibo Valentia – pensava «di stare un po’ meglio».
Spagnuolo, a Vibo, aveva chiesto e ottenuto – nell’operazione Poison – «il sequestro della più grande discarica di vanadio d’Europa (la fornace Tranquilla di San Calogero, ndr), determinata dai fanghi di lavorazione delle centrali Enel, un processo che purtroppo sta volgendo verso la prescrizione, con rischi estremamente gravi per l’incolumità di quella popolazione». Se dice che nel Cosentino la situazione è delicata il suo allarme non può essere sottovalutato. Il primo passaggio è per l’ex Legnochimica di Rende, «un insediamento industriale per la lavorazione del legno e la produzione di prodotti chimici dal legno, che ha cessato la sua attività negli anni 1990 e non è mai stata bonificata. C’è un procedimento penale per inquinamento ambientale, che è attualmente in corso».
I DEPURATORI NON ESISTONO Il problema «più serio, però, è determinato dal trattamento dei reflui». Il procuratore ricorda l’inchiesta sul depuratore di Coda di Volpe: «Abbiamo dimostrato – spiega ai commissari – che il depuratore era uno strumento per inquinare. In buona sostanza, attraverso l’attivazione di un bypass, il personale della ditta che gestisce il depuratore, faceva confluire i reflui tal quali nel fiume Crati, determinandone l’inquinamento». Il cuore del problema è la depurazione che esiste soltanto sulla carta. E riversa i propri veleni nel fiume. La Procura ha avviato controlli a tappeto su circa cento impianti (ve ne abbiamo parlato qui). «Di questi cento impianti di depurazione – spiega Spagnuolo – la buona metà esisteva solo sulla carta, nel senso che si tratta di strutture dismesse, ma non più utilizzate, e per arrivarci occorreva disboscare, perché l’erba si era fatta alta due o tre metri. Di fatto queste strutture non funzionano, anche se i Comuni formalmente sostengono che sono strutture che funzionano. Abbiamo sequestrato all’incirca una cinquantina di impianti e altri sono in corso di sequestro, ma – ripeto ancora una volta – si tratta di impianti non funzionanti. In buona sostanza, tutto finisce all’interno del fiume Crati e poi da lì viene portato a mare, con l’inquinamento delle zone».
INQUINAMENTO E PATOLOGIE La Procura non si è limitata ai sequestri. «Nella mia relazione – continua il magistrato – vi ho allegato uno studio epidemiologico fatto dal Cnr e dall’Università della Calabria, che è un primo tentativo di valutare gli effetti dell’inquinamento nella zona del mio circondario. È un primo tentativo che non è un risultato assolutamente definitivo. Da quello che io so, l’Asp di Cosenza non ha il registro dei tumori e non ha condotto indagini di questo genere, per cui probabilmente è una delle prime attività di ricerca che vengono portate avanti. Il risultato è assolutamente negativo, perché evidenzia una presenza assolutamente anomala di patologie determinate appunto dall’effetto di questi fenomeni di inquinamento». L’allarme è alto, insomma, anche se i risultati sono provvisori. Spagnuolo non si spinge più in là. Ma dice che «in questo momento il Crati è un fiume altamente a rischio».
LA GARA PER IL RADDOPPIO DEL DEPURATORE Spagnuolo risponde alle domande dei commissari e torna alla questione del depuratore consortile, sfiorando anche questioni che riguardano la gara d’appalto per il raddoppio dell’impianto. La Geco spa, società che gestisce il depuratore, «risulta vincitrice di una gara di appalto per il raddoppio del depuratore, con una spesa per il pubblico erario di circa 30 milioni di euro. Su questo la procura della Repubblica ha cominciato un’indagine, che evidentemente soffre e ha sofferto del fatto che la conclusione del procedimento con la firma del contratto è avvenuta solo in questi giorni. La gara si è conclusa qualche anno fa e la sottoscrizione del contratto è avvenuta soltanto adesso, quindi l’indagine in questo momento è ferma, perché dobbiamo vedere che cosa succederà in concreto».
AUDIZIONE SECRETATA SU CONSULECO Secretata, invece, la parte dell’audizione in cui il procuratore ha relazionato sull’unico depuratore per attività industriali presente in provincia di Cosenza. Omissis anche la parte dell’audizione in cui il magistrato ha riferito del depuratore Consuleco di Bisignano in relazione all’«inchiesta sul trattamento dei reflui anche petroliferi dell’Eni in Basilicata», stando alla domanda del commissario Alberto Zolezzi (M5S).
«NESSUN SISTEMA DI CONTROLLO» Stefano Vignaroli, presidente della Commissione, chiede a Spagnuolo come si spieghi la mancanza (almeno apparente) di controlli sugli impianti di depurazione. E il magistrato dà una risposta che definisce «tranchant». «La mia valutazione – spiega – è questa: in Calabria non esiste un sistema di controllo amministrativo. Questo vale per l’argomento di cui parliamo, ma, se ci mettessimo a parlare di sanità, il discorso sarebbe lo stesso. Il sistema dei controlli quanto al problema di cui oggi noi stiamo parlando di fatto non esiste». Un esempio? Il magistrato lo trae da un’altra delle inchieste che risalgono al periodo trascorso a Vibo Valentia. «Ricordo che a Vibo facemmo un’indagine che ebbe anche una certa notorietà, che si chiamava “Acqua sporca”, che praticamente dimostrò che l’invaso dell’Alaco, che dava acqua alla provincia di Vibo Valentia e a parte delle province di Catanzaro e di Reggio Calabria, aveva un’acqua assolutamente problematica. Non c’era stato nessun tipo di controllo. Lì la regione Calabria aveva deciso di dare in appalto i controlli a una società privata, bypassando l’Arpacal. È emblematico del fatto che gli organi istituzionali di controllo non vengono utilizzati». Altra nota dolente riguarda lo Spisal (servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro), «che dovrebbe svolgere forme di controllo su questo come su altri tipi di problemi che afferiscono alla salute dei cittadini. Io le garantisco che in un circondario con 450.000 abitanti le denunce dello SPISAL che mi arrivano ogni anno si contano sulla punta delle dita, il che sta a indicare che il controllo di fatto non viene esercitato. Il controllo è svolto dalla magistratura, con tutte le problematiche determinate dal fatto che noi ci muoviamo per fatti penali, siamo selettivi, perché finiamo per operare in base a denunce e in base a specifici fatti, quindi manca completamente il sistema di controllo». (p.petrasso@corrierecal.it)

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