di Alessia Truzzolillo
CATANZARO «Occorre considerare che l’incandidabilità è una misura interdittiva volta a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell’ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle precedentemente rivestite ed, in tal modo, perpetuare potenzialmente l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali». E ancora: «Nel caso di specie il Mascaro, in qualità di sindaco, rivestiva una posizione di vertice, con la conseguenza che il mancato esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, di vigilanza e di controllo a lui spettanti nei confronti dell’apparato burocratico integra la colpa».
A stretto giro boa rispetto alla sentenza numero 50 del 2019 (emessa il 6 novembre scorso) con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro ha emesso la sentenza di secondo grado riguardo all’incandidabilità di tre ex amministratori comunali di Lamezia Terme – stabilendo l’incandidabilità di Paqualino Ruberto e Giuseppe Paladino e rigettando la richiesta di incandidabilità nei confronti dell’ex sindaco Paolo Mascaro (attualmente al ballottaggio per la poltrona di primo cittadino) – l’Avvocatura generale e il sostituto procuratore generale Raffaela Sforza hanno presentato ricorso per Cassazione rispetto alla posizione di Mascaro.
I ricorrenti riprendono punto per punto le motivazioni addotte dal collegio presieduto da Alberto Nicola Filardo per quando riguarda la posizione dell’ex sindaco. «Invero, il Mascaro – hanno scritto i giudici di secondo grado – non ha fatto parte delle precedenti amministrazioni e non è stato coinvolto nel sistema di alterazione della formazione del consenso elettorale che ha caratterizzato la posizione di Paladino e di Ruberto e non vi è motivo di ritenere che si possa essere direttamente o indirettamente interessato alle attività di gestione prima descritte che, per disposizione normativa, non competono al sindaco. È pur ipotizzabile che il sindaco di una cittadina di medie dimensioni non possa non essere al corrente di alcune irregolarità nel sistema di aggiudicazione degli appalti e di conferimento dei servizi della cosa pubblica ma, in mancanza di adeguata prova di tale conoscenza o di altri elementi sintomatici di una corresponsabilità nelle attività amministrative gestionali, le possibili ipotesi non assumono significato rilevante…».
ESSERE «IN COLPA» Dunque, punto primo, secondo i giudici della Corte d’Appello Mascaro non è stato coinvolto nelle indagini di “Crisalide”, della Dda di Catanzaro, come è avvenuto per Paladino e Ruberto, indagini che hanno portato in seno alle stanze del Comune la commissione d’accesso antimafia e, successivamente, hanno portato allo scioglimento del consiglio comunale. Ma secondo l’Avvocatura e il pg il procedimento penale, ovvero il procedimento “Crisalide”, non ha nulla a che vedere con l’incandidabilità perché «il procedimento per la dichiarazione di incandidabilità è autonomo rispetto a quello penale, non occorrendo che la condotta dell’amministratore integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno dello stesso, ma solo che egli sia stato in colpa nella gestione della cosa pubblica, aperta a pressioni ed ingerenze delle associazioni criminali operanti sul territorio». Pressioni delle associazioni criminali sulla cosa pubblica evidenziate dalla sentenza del Consiglio di Stato e dalla stessa Corte d’Appello. Il Consiglio di Stato parla di una «situazione di generalizzato disordine amministrativo e di irregolarità nella gestione degli appalti pubblici e, soprattutto, in un contesto che ha visto molti consiglieri comunali legati a soggetti ed interessi riconducibili a contesti mafiosi». Quello che, con la misura – cautelativa e non sanzionatoria – dell’incandidabilità si tenta di arginare, è che non si ripeta quanto accaduto in precedenza. Quindi «è sufficiente che l’amministratore sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta ad ingerenze ed alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio», ovvero che «pur senza sconfinare nell’illecito abbia favorito l’ingerenza di associazioni criminali o il condizionamento delle stesse sulla gestione dell’ente territoriale».
Nel caso dell’ex sindaco, secondo Avvocatura e pg, «il Mascaro, in qualità di sindaco, rivestiva una posizione di vertice, con la conseguenza che il mancato esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, di vigilanza e di controllo a lui spettanti nei confronti dell’apparato burocratico integra la colpa».
«A fini preventivi – si specifica nel ricorso – può bastare, infatti, anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della macchina amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti controindicati». Per quanto riguarda il Comune di Lamezia Terme «tutte le principali attività dell’ente civico sono state portate avanti dall’amministrazione comunale, sindaco compreso, senza alcuna delle cautele che sarebbe stato necessario adottare a tutela della legalità, in un territorio caratterizzato dalla presenza di sodalizi criminali di stampo mafioso».
LA DIFESA DI BEVILACQUA Il secondo punto analizzato dall’Avvocatura e dal pg è la difesa che Mascaro, in qualità di avvocato, ha assunto nei confronti di Gianpaolo Bevilacqua nell’ambito del procedimento “Perseo”.
Su questo punto la Corte d’Appello scrive: «Mentre l’attività svolta dal Mascaro, quale difensore di alcuni soggetti, indicati come di significativo spessore criminale, e coinvolti nell’operazione “Perseo”, appare giustificata dalla professione svolta dallo stesso e. comunque, non risulta si sia protratta successivamente all’assunzione dell’incarico di sindaco… E la difesa assunta nel procedimento per le misure di prevenzione a carico di Bevilacqua Gianpaolo, esercitata quanto meno fino alla data del 15.2.2017, risulta irrilevante atteso che in tale procedura non vi era possibilità di costituzione di parte civile da parte del comune di Lamezia Terme».
Ma Avvocatura e pg specificano che l’incarico di difensore «durava fino all’8 marzo 2016». Nello stesso mese e con riferimento al medesimo procedimento penale il Comune si costituiva parte civile. «A ciò si aggiunga che la difesa difesa assunta nel procedimento di prevenzione relativo a Bevilacqua Gianpaolo dall’avvocato Paolo Mascaro, nel contempo sindaco sindaco del Comune di Lamezia Terme, è la vicenda più emblematica – è scritto nel ricorso – della perpetuazione degli incarichi difensivi in aperto conflitto di interessi con la carica di sindaco del Comune di Lamezia Terme. Invero, all’udienza del 15 febbraio 2017 (ove l’avvocato Mascaro era sostituito per delega dall’avvocato Bernardo Marasco) veniva prodotto decreto di citazione dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro dell’imputato Bevilacqua Gianpaolo per l’udienza del primo marzo 2017 avente ad oggetto la trattazione del gravame proposto dallo stesso avverso la sentenza di condanna in primo grado per il reato di 110-416bis cp (concorso esterno in associazione mafiosa, ndr). La produzione di detto decreto di citazione ad opera della difesa era finalizzata ad ottenere un rinvio dell’udienza di prevenzione a data successiva alla definizione del giudizio d’appello nel processo di merito. Nel corpo del predetto decreto di citazione è indicata quale parte civile costituita il Comune di Lamezia Terme in persona del sindaco in carica pro tempore (Mascaro)». «Sul punto – scrivono l’avvocato generale e il pg citando una sentenza del Consiglio di Stato del 2017 – secondo la giurisprudenza amministrativa “assumono rilievo tutte quelle situazioni (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) che, sebbene non siano traducibili in episodici addebiti personali, siano tali da rendere plausibile – sempre nel loro insieme – nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione”». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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