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«Emigrazione sanitaria, il problema è politico (e anche culturale)»

I numeri delle cardiochirurgie calabresi, in linea con quelli delle migliori strutture italiane. I medici che “preferiscono” mandare i propri pazienti al Nord anche per esami banali. E un commissar…

Pubblicato il: 16/02/2020 – 8:08
«Emigrazione sanitaria, il problema è politico (e anche culturale)»

di Pablo Petrasso
CATANZARO
«Se ci sono dei colleghi che consigliano ai pazienti di rivolgersi a strutture extraregionali anche per esami banali, allora vuol dire che il problema, oltre che politico, è anche culturale». Pasquale Mastroroberto lavora in Calabria da 32 anni, è docente all’Università di Catanzaro e dirige il reparto di Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliera Mater Domini. «Un reparto in salute – spiega –: su 14 posti letto abbiamo 24 pazienti, siamo ben oltre l’overbooking». Le due premesse (il problema culturale nella sanità calabrese e l’overbooking) sono necessarie per sviluppare un ragionamento partito anni fa (la prima denuncia del medico sull’emigrazione sanitaria risale al 2015) e arrivato nelle scorse settimane a un’emersione polemica. È successo quando Mastroroberto, assieme ai primari delle altre due Cardiochirurgie calabresi, si è espresso in termini critici (leggi qui) contro le modalità di organizzazione degli “Incontri calabresi di aggiornamento in Cardiologia”. «Quelle giornate avevano ben poco di calabrese – ribadisce – innanzitutto perché di calabrese non ce n’era neanche uno». C’era, però, il “timbro” dell’Irccs San Donato, un’eccellenza che spesso fa capolino alle latitudini calabresi. «Intendiamoci – spiega Mastroroberto –, il workshop era organizzato da medici di grande valore, ma mi è sembrata una forzatura».
IL PROBLEMA CULTURALE Forzatura legata al problema culturale che, per il primario, è uno dei cortocircuiti dell’emergenza sanitaria regionale. «È inevitabile che vengano messe in circolo le notizie negative, che pure ci sono, ma è giusto segnalare anche le positività. Per esempio, si è parlato solo dei Livelli essenziali di assistenza e non delle tante esperienze positive». Si sono scritti fiumi d’inchiostro sulla Cardiochirurgia pubblica di Catanzaro per una polemica che, qualche anno fa, ha visto in prima linea il Movimento Cinquestelle. «Anch’io, forse, non fui compreso bene. Ma le mie intenzioni sono le stesse, ora come allora: facciamo una cosa per costruire, altrimenti la gente si demotiva sempre di più».
Il docente non risparmia qualche critica ai propri colleghi. Il Corriere della Calabria si è occupato, tempo fa, del “no” del cardiologo Giuseppe Minutolo a una grossa struttura del Nord che gli proponeva, in cambio di una percentuale sulle prestazioni sanitarie erogate, di portare i propri pazienti nel Settentrione (leggi qui e qui). «È vero, ci sono medici che dicono “sì” e alimentano un circuito di sfiducia. È capitato anche a me di visitare alcune persone che, per una banale coronarografia, erano state indirizzate in un centro privato accreditato in Romagna. Fermo restando il diritto di scegliere dove curarsi, se fosse vero che medici calabresi indirizzano fuori regione per esami di routine il problema culturale sarebbe davvero grave».
IL PROBLEMA POLITICO: STOP AL COMMISSARIAMENTO Quello politico è, in effetti, ancora più grave per il primario di Cardiochirurgia. Che va dritto al punto: «La Calabria deve uscire dal commissariamento. Avrà pure elementi positivi sulla tenuta dei conti, ma per anni abbiamo assistito a liti sterili che non hanno fatto bene alla sanità. E per il resto, con il blocco degli investimenti, il rischio di licenziamenti tra i precari e lo stop al normale turnover tutta una serie di opportunità sono state e sono precluse. Anche la Campania è uscita, seppur faticosamente, dal commissariamento. Non vedo perché non possa farlo la Calabria».

NUMERI E PROSPETTIVE Il passaggio tecnico-politico è vincolato da numeri e valutazioni da parte dei ministeri della Sanità e dell’Economia. Quello culturale avrebbe già qualche spunto da cui attingere. «Lo dicono i dati ricavati dalle analisi del ministero sulla mortalità. Non dico che le nostre cardiochirurgie siano migliori delle altre, ma possiamo affermare che non ci sono differenze apprezzabili. In qualche modo dovremmo ripetere, per pubblicizzarci, quello che ci viene riferito dai tanti che partecipano ai congressi internazionali che si svolgono nella nostra Azienda: “Avete strutture che funzionano”».
 
Per una cosa che si ha, ce n’è una che manca: la possibilità di investire. «Non vorrei ripetermi – spiega Mastroroberto – ma l’altra faccia della medaglia è il commissariamento». Qualche esempio: l’Azienda Mater Domini ha riavviato un progetto di assistenza meccanica che potrebbe essere implementato e integrato con l’utilizzo di un cuore artificiale. «Si tratta di un investimento economico notevole – dice il docente –, un cuore costa 100-120mila euro. Perché intere famiglie dovrebbero rivolgersi a strutture di Milano, Bologna, Torino, quando potrebbero occuparsene i reparti calabresi. Possibile che la politica non si accorga che questi soldi, alla fine, sono costi della Regione e delle stesse famiglie. Perché la politica non prevede, per esempio, un tetto per le spese delle prestazioni extraregionali? Senza risposte a queste domande continueremo a costruire sbarramenti, non investimenti». (p.petrasso@corrierecal.it)

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