di Pablo Petrasso
REGGIO CALABRIA La base di Cosimo Alvaro è a Messina, dove il boss ha l’obbligo di soggiorno. È lì che riceve i suoi luogotenenti per raccogliere le notizie in arrivo dalla Calabria. Da Sant’Eufemia d’Aspromonte, Domenico Laurendi offre al capo un report dettagliato sulla possibilità che il sostegno politico offerto dalla cosca a Domenico Creazzo possa tradursi in quella che per la ‘ndrangheta è, a tutte le latitudini, una vera e propria ossessione: aggiustare i processi.
La potente ‘ndrina di Sinopoli ha bisogno di trovare nuovi agganci perché – lo racconta lo stesso Alvaro – «la Corte d’Appello non sta funzionando». L’aspirante capo del gruppo aspromontano non si perde d’animo. E risponde che «c’era uno dei tre che poteva essere avvicinato». Per i magistrati della Dda di Reggio Calabria si riferisce «a uno dei tre componenti del Collegio, di cui non veniva fatto il nome».
Il cruccio di Alvaro è il procedimento Xenopolis: considera la sua posizione legata a quella di un altro imputato. E dice che «se fosse caduta per questa persona una certa contestazione, in automatico vi sarebbero stati dei riverberi sulla sua posizione». Se non si fosse trovato un modo per sistemare il processo, il capoclan avrebbe rischiato di finire in carcere. Per questo l’avvicinamento di «uno dei tre» appare una circostanza propizia. «Le sentenze nelle mani dei consiglieri sono», dice Alvaro. Che, nel discorso intercettato, continua: «C’è denaro, capisci? Gli hanno ribaltato una sentenza, con una sentenza di quella». Per i magistrati della Dda quel «c’è denaro» significa che i soldi avevano «permesso di sovvertire una sentenza a favore di un soggetto che il boss conosceva» e che, di conseguenza, «la cosca Alvaro aveva già sperimentato la corruzione dei magistrati».
Il dialogo tra Alvaro e Laurendi avviene sulla sponda siciliana dello Stretto il 2 giugno 2019. Ce ne sono altri, registrati tra gli indagati dell’operazione Eyphemos in Calabria, che allargano il quadro dei tentativi di sistemazione dei processi. E ne legano il contesto al sostegno elettorale offerto dalla cosca a Domenico Creazzo, neo eletto consigliere regionale di Fratelli d’Italia.
Per l’accusa, è nel dialogo del 2 aprile tra Domenico Laurendi e Natale Lupoi che emerge «quali erano gli immediati interessi mafiosi che il politico da “garantire”, cioè Domenico Creazzo, avrebbe dovuto soddisfare». Laurendi, in quella conversazione, esprime il proprio timore «per l’esito processuale del procedimento “Xenopolis”» e racconta «della sua intenzione di corrompere un componente del collegio giudicante». Emergerebbe, dalle sue parole, «l’esistenza di un soggetto che poteva fungere da trait d’union tra lo ‘ndranghetista ed il componente del collegio giudicante».
Chi sia l’amico «cui Laurendi si era rivolto per avvicinare e corrompere un componente del Collegio giudicante della Corte di Appello» emerge il giorno dopo, quando gli investigatori documentano l’incontro tra il solito Laurendi e Antonino Creazzo, fratello di Domenico. In quell’occasione, «Creazzo rassicura lo ‘ndranghetista Laurendi che si era rivolto a un “funzionario giudiziario” per creare il contatto col giudice, rappresentando che questi “era il cugino di Zappalà” (con evidente riferimento a Santi Zappalà, ex sindaco di Bagnara arrestato) ma esprimeva perplessità circa la possibilità di un effettivo ausilio perché questa persona stava per essere trasferita di sede». Quel contatto non sarebbe stato – stando alle parole di Creazzo – l’unico. Il clan e i suoi amici le tentano tutte (e lo stesso Laurendi dice di essersi mosso anche attraverso un altro canale). E la chiosa dei magistrati è netta: la cosca «aveva rinvenuto in Antonino Creazzo un soggetto che disponeva o poteva trovare contatti per arrivare a corrompere i giudici della Corte di Appello di Reggio Calabria ed aveva deciso di acquistare “il servigio” in cambio del sostegno elettorale a Domenico Creazzo nella corsa alla poltrona in seno al consiglio regionale». Garanzia (dell’elezione) per garanzia (della sistemazione di un processo): un patto oscuro stretto tra urne e tribunali. (p.petrasso@corrierecal.it)
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