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FASE 2 COVID-19 | Marino: «La Calabria dovrà puntare sull’innovazione» – I DATI

Il lockdown costa 791 milioni di euro al mese al sistema produttivo regionale. Occorre programmare bene la ripartenza. Ne è convinto il docente della “Mediterranea”: «Non interventi a pioggia, ma a…

Pubblicato il: 11/04/2020 – 7:03
FASE 2 COVID-19 | Marino: «La Calabria dovrà puntare sull’innovazione» – I DATI

di Roberto De Santo
CATANZARO Il lockdown pesa sull’economia calabrese e gli effetti si fanno già sentire abbondantemente sul sistema imprenditoriale e conseguentemente su fatturato ed occupazione. Un quadro che sta aggravandosi di giorno in giorno in conseguenza del lungo stop imposto dall’emergenza sanitaria scaturita dal diffondersi dell’epidemia da Coronavirus anche in Calabria. Così seppure i numeri dei contagi – fortunatamente – al momento non sembrano allarmanti come quelli del Nord Italia, i contraccolpi si percepiscono in maniera sensibile su un tessuto socio-economico caratterizzato da una debolezza strutturale, rischiando di mandare al tappeto – prima di altri territori – la già fragilissima struttura produttiva regionale.
Stando alle stime contenute nel report dello Svimez sugli effetti del Coronavirus, il blocco delle attività produttive sta costando 791 milioni al mese al sistema produttivo calabrese. A seguito dei Dpcm, infatti, oltre 6 impianti su dieci sono stati fermati generando un crollo del fatturato, del valore aggiunto e dell’occupazione devastanti. Senza contare le aziende dei settori dell’Agricoltura, delle Attività finanziarie e assicurative e della Pubblica amministrazione, i tecnici dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno stimano il “congelamento” del 51,6 per cento del fatturato così come il 38,8 per cento del valore aggiunto ed ha ripercussioni su oltre la metà degli occupati (53,2%). Numeri che danno la misura del tornado che si è abbattuto su un’economia come quella calabrese che ancora non ha superato la lunga fase di recessione iniziata nel 2008 – per una sua debolezza intrinseca – e che era piombata in una sorta di stagnazione: Pil e occupazione fermi da anni.
Per questo c’è il rischio concreto che gli effetti del lockdown in Calabria possano compromettere qualsiasi ipotesi di riequilibrio territoriale tra Italie sempre più distanti. Da qui l’importanza di programmare bene e da subito la Fase 2 della ripresa delle attività produttive che lentamente il presidente Conte ha annunciato di voler avviare dopo il 3 maggio. Sfruttando al massimo tutti gli strumenti e le risorse disponibili per aiutare imprese, liberi professionisti e cittadini calabresi ad uscire da quella che è stata definita «la più grave crisi della storia repubblicana».
Ne è convinto anche il professor Domenico Marino, docente di Politica economica all’Università “Mediteranea” di Reggio Calabria.
Secondo Marino – che assieme ai colleghi Nico D’Ascola, Daniele Cananzi, Massimo Finocchiaro Castro, Domenico Nicolo e ai dottori Corrado Mollica e Giovanna Russo ha costituito Osservatorio sul Federalismo Fiscale all’interno dell’Ateneo reggino – gli effetti di questa fase recessiva innescata dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia «rischia di desertificare il tessuto industriale delle poche grandi imprese esistenti che hanno un maggior rischio di default».
Quali, i settori che hanno subito maggiori contraccolpi?
«In Calabria i settori che al momento sono maggiormente penalizzati sono quelli legati al turismo e alle costruzioni. Ma indirettamente ne hanno risentito tutte le imprese legate al comparto agroalimentare che, pure, in gran parte sono rimaste aperte e funzionanti. La crisi del turismo ha trainato la crisi del settore di trasporti e dei servizi al turismo (ad esempio agenzie viaggi), la crisi dell’edilizia ha coinvolto tanti piccoli artigiani e lavoratori autonomi che ne costituivano l’indotto. Ma gli effetti non tarderanno a farsi sentire pesantemente nel settore della ristorazione e dell’accoglienza e nel settore dei servizi culturali, che alla ripartenza dovranno basarsi solo su un’asfittica domanda locale, perché la ripartenza del turismo non si avrà prima della primavera 2021».
Si parla della fase 2 dell’emergenza covid-19, la Calabria su cosa dovrebbe puntare per ripartire?
«La fase 2 sarà una fase di cui l’economia dovrà tentare di ripartire pur rimanendo ancora limitata dalla presenza del Covid 19, che, anche se non sarà presente in forma epidemica, manterrà sull’economia la “spada di Damocle” di una potenziale seconda ondata epidemica. Sarà fondamentale che il governo elabori subito un piano pandemico per affrontare la probabile seconda ondata epidemica in autunno senza ricorrere al lockdown. La Calabria per ripartire dovrà trasformarsi in un’economia digitale e puntare su innovazione, digitalizzazione, economia della conoscenza e intelligenza artificiale».
Ci sono le condizioni per far ripartire prima di altri territori soprattutto del Nord, il sistema produttivo calabrese?
«In Calabria l’epidemia sembra doversi esaurire in breve tempo, probabilmente prima di altre regioni del Nord. Tuttavia non credo sia possibile pensare ad una ripartenza differenziata perché si avrebbe il rischio di un’ondata di ritorno dei contagi e perché il sistema Paese può avere maggiori chance di ripartenza se la riapertura è sincrona».
Sono in tanti che parlano di un new deal come soluzione, lei concorda?
«La necessità di un new deal è ormai planetaria. Tutti gli Stati dovranno abbandonare la logica dell’austerity di bilancio e liberare i cordoni della spesa pubblica. Ma dovrà essere un new deal intelligente. Non basterà spendere le risorse, bisognerà spendere in maniera intelligente ed utile, facendo compiere all’economia il salto strutturale di cui ha bisogno per poter competere. Se il new deal sarà solo un’iniezione finanziaria di risorse distribuite a pioggia, nel breve periodo potremo avere qualche risultato, ma nel medio e lungo periodo diventeremo marginali. Non dobbiamo ricostruire un’economia, dobbiamo piuttosto rigenerare e innovare l’economia».
Quali strumenti potrebbero essere utili per restituire liquidità alle imprese calabresi, vista la specificità?
«Il prestito garantito dallo Stato e concesso, almeno fino ad una certa soglia, senza tenere conto del merito creditizio, è sicuramente un buono strumento per assicurare la liquidità. Bisognerà, però, esercitare una moral suasion sulle banche per evitare che le stesse siano tentate – attraverso questo strumento – di ristrutturare il debito esistente delle imprese, chiudendo le linee di credito esistenti e trasformandole in nuove linee di credito, semplicemente per mettere a carico dello Stato il rischio di insolvenza. Se così fosse il provvedimento sarebbe molto utile alle banche e poco alle imprese».
In questo senso ritiene sufficienti le azioni previste dal decreto “Liquidità” per rimettere in moto l’economia calabrese?
«Le azioni previste dal decreto “Liquidità” sono un buon punto di partenza, ma devono essere affiancate da altre misure. L’obiettivo di queste misure è dare un sollievo ad un sistema economico che ha subito un forte contraccolpo. Sono una terapia d’urto per evitare che il malato muoia. Ma superata la fase critica, devono essere accompagnate da misure che aiutino l’economia calabrese a diventare più competitiva di quanto non lo fosse prima della crisi».
Quali misure occorrerebbe mettere in campo per trasformare questa situazione di emergenza in occasione di rilancio del sistema produttivo calabrese?
«Tutte le situazioni, sia quelle positive, sia quelle negative, presentano dei rischi e delle opportunità. Anche questa emergenza – se opportunamente gestita – può trasformarsi in una opportunità per l’Italia e per la Calabria, in particolare. Può essere l’occasione per tentare di far fare all’economia calabrese un salto strutturale facendola diventare una vera economia 4.0. Potremmo ripartire puntando sull’innovazione, sulla digitalizzazione e sull’intelligenza artificiale e trasformare la Calabria in una regione digitale e intelligente che riesce a rendere più attraenti e produttivi anche i settori tradizionali quali il turismo e l’agroalimentare. Occorrerà, quindi, nella fase successiva prevedere interventi per favorire gli investimenti, ad esempio attraverso il credito d’imposta. E interventi per favorire la crescita dell’occupazione, ed esempio forme di abbattimento degli oneri contributivi e previdenziali per i nuovi occupati o per il riassorbimento di quei dipendenti in cassa integrazione. E un ruolo importante in questo senso potrebbe essere giocato dalla Regione».
E cioè?
«La Regione può giocare un ruolo fondamentale in questo processo, anche se nutro qualche dubbio sulla capacità della macchina burocratica di affrontare uno sforzo di programmazione così impegnativo. Fatte salve alcune eccellenze, non si può non vedere un deficit di competenze dell’intera macchina regionale che ha fatto passare negli ultimi 25 anni più di quattro cicli di programmazione, inseguendo semplicemente le emergenze, senza tentare di dare loro una soluzione definitiva, e limitandosi ad una gestione di piccolo cabotaggio che è consistita in uno spreco di somme e in una dispersione in mille rivoli, spesso clientelari, delle risorse. Occorre avere la forza di riprogrammare le risorse del Programma operativo 2014-2020 e pensare alla nuova programmazione in termini innovativi, concentrando i fondi in 4-5 grandi progetti strategici. È necessario abbandonare la logica dei bandi, tanto cara alla burocrazia regionale che attraverso di essi esercita il suo potere, e passare ad una gestione dei fondi europei attraverso leggi di spesa che garantiscono efficienza ed efficacia, puntare sull’innovazione, sulla conoscenza e sulle tecnologie 4.0». (r.desanto@corrierecal.it)

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