Dalle urne calabresi un risultato che la dice lunga sulla inadeguatezza dello strumento sancito dall’art. 143 del Tuel. Prova ne è la rielezione del già sindaco di Scilla, Pasqualino Ciccone, rieletto con il 97,84% dopo avere subito uno scioglimento «per ‘ndrangheta», cui ha fatto seguito il solito inutile commissariamento. Il suo match con l’avversario si è concluso 2757 voti a 61. Gli scillesi hanno dato credito al loro vecchio sindaco. Hanno preteso che lo ridivenisse, e come.
Una disciplina da riscrivere
Quanto accaduto è la prova provata della incongruenza della attuale regolazione che vorrebbe essere posta a tutela della buona amministrazione locale. È solo generalmente punitiva per i cittadini che la subiscono in termini di erogazione dei servizi pubblici. Non risolve alcunché.
Tutto questo determina un deficit di esercizio del più importante e diffuso presidio pubblico di prossimità ai cittadini, riconosciuto dalla Costituzione come l’istituzione massimamente garante delle funzioni amministrative sul territorio.
Di conseguenza, va ricercata una disciplina che tuteli, da una parte, le ingerenze negative nella gestione della res pubblica locale e, dall’altra, che assicuri l’intervento di prevenzione della invadenza della criminalità organizzata nelle istituzioni territoriali piuttosto che quello repressivo della stessa. Il tutto, incentivando concretamente ogni azione intrapresa dai sindaci e dai relativi Consigli comunali – insediati successivamente alla commissione degli eventi viziati da illiceità – per bonificare l’esistente in presenza di fatti e comportamenti inquinanti il modo di essere buona amministrazione locale.
Il sistema autonomistico locale è stato ferito da circa trecento scioglimenti registrati nei ventinove anni che separano l’oggi dall’approvazione della legge 22 luglio 1991 n. 221 che ne introdusse la primitiva disciplina nell’ordinamento, sintetizzata nell’attuale lettera dell’art. 143 del Tuoel.
La filiera degli enti locali sanguina più copiosamente nel Mezzogiorno ove il record negativo dei Comuni sciolti è in competizione tra Calabria, Campania e Sicilia.
Anche il resto del Paese non se la passa diversamente, considerate: a) la diffusione crescente della malavita organizzata sull’intero territorio nazionale, con particolare attenzione alle regioni più ricche di Pil, esercitando ivi pressioni aggressive e metodi altamente invasivi del sistema, comunque, produttivo di reddito; b) la permeabilità del sistema delle autonomie territoriali da parte di lobby e consorterie di ogni tipo, sia nelle rappresentanze politiche che nella burocrazia dominante.
Qualche idea
Tutto questo non vuole dire pronunciarsi per una assoluzione degli enti locali assoggettati ai provvedimenti bensì proporre il cambiamento di una disciplina che ha dimostrato in tanti anni i suoi vistosi limiti.
Potrebbero prendersi in considerazione in proposito:
a) un intervento legislativo di tutela preventiva della formazione delle liste, istituendo magari figure/organi di garanzia ad hoc ad esclusiva partecipazione pubblica;
b) una normativa che assicuri l’individuazione del migliore strumento surrogatorio dello Stato post scioglimento, con esercizio da delegarsi ad alti burocrati, segnatamente autorevoli nel management pubblico e non già a un funzionariato in quiescenza e obsoleto sul piano della conoscenza e dell’aggiornamento necessari al corretto esercizio gestorio degli enti;
c) una disciplina di accompagno (per esempio, a cura di un super segretario comunale) per i sindaci con l’onere di subentrare nella conduzione di una pubblica amministrazione locale ferita ed esposta ad inquinamento di genere malavitoso ovvero da consorterie, comunque, inquinanti;
d) una implementazione legislativa attuativa dell’esercizio del cosiddetto controllo analogo, nel rispetto dei principi comunitari dettati in materia di società in house, sì da assicurare – in relazione alle medesime – la stessa qualità e quantità dell’attività di costante verifica amministrativa dedicata ai servizi gestiti ed erogati direttamente. Un controllo strutturale da esercitarsi, concretamente e costantemente, sugli organi, sugli atti e sulla gestione, sino ad arrivare ad incidere sulla validità ed efficacia di tutte le scelte significative, ivi compresa l’approvazione del bilancio, in modo da intervenire tempestivamente nei confronti degli eventuali primi segnali di ogni genere di infiltrazioni/condizionamenti della criminalità organizzata;
e) una formazione routinaria e a sistema per amministratori o aspiranti tali, sino ad arrivare a preventivi rilasci di appositi titoli, quasi a voler premiare amministratori e amministrati, nel senso di fornire loro, rispettivamente, la migliore cassetta degli attrezzi per gestire il bene locale e l’occasione di scegliere tra soggetti preventivamente abilitati.
Il tutto ovviamente assistito da una accurata revisione della vigente lettera normativa, nel senso di consentire agli organi governativi di aprire e concludere procedure di accesso negli enti locali (cui sono preposti sindaci, si badi bene, autonomamente eletti!) esclusivamente in presenza del concretizzarsi di provvedimenti emessi dal potere giudiziario. Provvedimenti dal medesimo originati ovvero (se ministeriali) dallo stesso convalidati, comprovanti una attuale emissione di atti e/o concretizzazione di comportamenti invasivi e/o compromettenti la buona pratica amministrativa e il bene collettivo. Si rende, pertanto, necessaria una doverosa modifica dell’attuale processo che, se non integrato, continuerebbe a produrre i ricorrenti due effetti negativi sotto il profilo della ricaduta sociale, senza porre rimedio alcuno: un violento stravolgimento dell’esito elettorale e la perdita di due anni di crescita della pubblica amministrazione locale, lasciata in mano ad una burocrazia, di frequente, inadeguata al ruolo. Con sindaci senza macchia spesso mandati a casa per colpe non proprie e con tanta buona volontà e coraggio nello zaino.
*docente Unical
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