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Cambia colore:
«Una "zona rossa" immeritata»
di Ettore Jorio*
Pubblicato il: 05/11/2020 – 13:44
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Al Dpcm firmato da Conte l’altro ieri, recante le disposizioni attuative del D.L. 19/2020, ha fatto seguito nella giornata di ieri la pedissequa ordinanza del ministro Roberto Speranza, con la quale lo stesso incasella «sine causa» le regioni nei colori della tavolozza individuata dal presidente del Consiglio. Regioni identificate con il colore rosso, altre con l’arancione e il giallo. A seconda del colore e in modo decrescente, sono imposti alle stesse, rispettivamente, degli obblighi più o meno severi, in termini di limitazione delle libertà personali e di libera iniziativa privata sino ad imporre comportamenti improntati al massimo della cautela.
Ciò che scandalizza è il tenore dell’ordinanza ministeriale. Più vuoto di così, è difficile immaginare un provvedimento amministrativo. E dire che da essa dipendono, per un lungo periodo, le condizioni di vita quotidiana dei cittadini di Piemonte, Lombardia, Calabria e Val d’Aosta, tutte incluse nella zona rossa, nonché l’esercizio delle attività colpite dall’ordinanza nel senso che viene imposta la chiusura per circa un mese. Un obbligo che costerà tanto agli esercenti, specie in un momento come questo che precede di poco il Natale.
Il provvedimento ministeriale, che non è dato contestare in relazione alla necessità di dovere disporre misure di cautela al diffondersi del Covid-19 sul territorio nazionale, è del tutto privo dell’istruttoria e dei criteri estimativi indispensabili per determinare, discrezionalmente, obblighi differenziati a carico dei cittadini delle diverse regioni. Una scelta che è ricondotta agli organi statali, con la potestà di determinare – esclusivamente sulla base dei dati giustificativi dell’urgenza di intervenire – e di discriminare divieti sulla base dei livelli di rischio regionali scientificamente evidenziati, imponendo all’occorrenza misure più restrittive distinte per singole aree delle regioni destinatarie.
Fare tutto questo però in assenza di criteri predeterminati, indispensabili per pervenire alle obiettive valutazioni di rischio dei territori e delle collettività destinatari – così come avvenuto con la ordinanza a firma del ministro Speranza che, di fatto, chiude tre regioni su venti (Piemonte, Lombardia, Calabria e Val d’Aosta) – comporta la illegittimità del provvedimento adottato. Ciò prescindendo dai richiami tra i considerata degli atti ritenuti ad esso prodromici, rilevatori dei fabbisogni emergenti e propedeutici alla sua emissione, artatamente confusi come giustificativi di una motivazione per relationem. Una conclusione logica, questa, dal momento che i richiami, tra gli altri, alla «adozione dei criteri relativi alle attività di monitoraggio» di cui al DM 30 aprile 2020, al documento condiviso in Conferenza Stato-Regioni sulla «evoluzione delle strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale» non motivano affatto l’adozione dell’attuale provvedimento segnatamente discriminatorio.
In esso non sono affatto evidenziati e posti a motivazione del provvedimento i criteri valutativi, i dati raccolti, le deficitarietà strutturali e sistemiche rilevate e i saldi prodotti dall’epidemia, quanto a contagiati e sottoposti alle terapie del caso, soprattutto di terapia intensiva. Valori questi ultimi non affatto giustificativi dei pesanti divieti imposti alla Calabria, immeritatamente penalizzata.
*docente Unical
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