La Consulta boccia la legge ideata per “salvare” il Corap
Sentenza della Corte costituzionale: no alla liquidazione coatta amministrativa. Ma nella normativa nazionale c’è un “buco”

CATANZARO La legge regionale che ha posto il Corap in liquidazione coatta amministrativa è incostituzionale. Lo ha decretato la Consulta con la sentenza depositata in Cancelleria il 17 febbraio scorso, a seguito del ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri. Per il governo – dato che sono «soggette a liquidazione coatta amministrativa le imprese di assicurazione, le banche, le società cooperative, i consorzi di cooperative ammessi ai pubblici appalti, le società per azioni debitrici dello Stato, le società fiduciarie e le societa’ di revisione» – il Corap «non rientra in nessuna delle ipotesi, per cui la norma regionale indebitamente estende l’ambito soggettivo di applicazione della procedura». La norma votata dal consiglio regionale fissa i paletti per il pagamento dei debiti del Consorzio, stabilendone l’estinzione «esclusivamente nei limiti delle risorse disponibili alla data della liquidazione ovvero di quelle che si ricavano dalla liquidazione del patrimonio del Consorzio medesimo».
Differenze per i creditori su base regionale
È proprio attorno alla tutela dei creditori che si svolge parte del ragionamento dei giudici. La scelta della liquidazione coatta amministrativa da parte della Calabria rischia, in sostanza, di creare differenze su base regionale per la tutela dei creditori, questione che deve invece «corrispondere all’esigenza di uniformità sottesa alla riserva di competenza statale». La Corte non ha considerato persuasiva la tesi difensiva della Regione, concludendo che il Corap non appartiene alla categoria degli enti per i quali la procedura possa essere attivata.
La difesa
La difesa del Corap, da parte sua, evidenziava «che il quadro normativo così ricostruito impedisce alla Regione Calabria di regolare in termini concorsuali il dissesto di un proprio ente strumentale», e questo «sarebbe lesivo dell’autonomia regionale, e finanche irragionevole». Per la Consulta anche questo argomento «non convince, in quanto l’eventuale analogia delle condizioni di dissesto degli enti strumentali non è di per sé sufficiente a investire ogni singola Regione del potere di definire proprie e autonome forme di risoluzione, le quali, viceversa, appunto per le ricadute immediate sulla tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori, non possono che essere omogenee a livello nazionale, come emerge dalla ratio – ancora attuale – della sentenza numero 25 del 2007».
Il “buco” nella normativa nazionale
Non c’è spazio per le obiezioni che arrivano dalla Calabria. Anche se la Corte sottolinea che «l’odierno assetto normativo appare carente di una disciplina uniforme di fonte statale idonea a consentire la risoluzione delle crisi di solvibilità degli enti strumentali vigilati dalle Regioni, e, tra questi, dei consorzi di sviluppo industriale». Un buco nella normativa che, seppure sollevato, per ora non “salva” la legge regionale. Ma induce i giudici a un suggerimento: «L’opzione per l’impiego in casi siffatti della procedura di liquidazione coatta amministrativa – opzione non isolata nel contesto della legislazione regionale, come rilevato dalle difese della Regione Calabria e del Corap – evidenzia la necessità di un intervento regolativo dello Stato, che, tenuta ferma l’omogeneità di una disciplina pur sempre incidente sull’ordinamento civile e processuale, permetta tuttavia alle Regioni di fronteggiare situazioni critiche di notevole impatto sulle comunità territoriali». La Consulta chiede un intervento dello Stato. Ma la legge è bocciata. Così come il percorso pensato per tirare il Corap fuori dal baratro dei debiti. (ppp)