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Minoli: «Racconteremo l’anima della Calabria attraverso i suoi “paesaggi umani”» – VIDEO

Lo storico giornalista oggi commissario della “Calabria film Commission” ospite del talk in onda su L’altro Corriere Tv parla dei progetti futuri e la politica contemporanea

Pubblicato il: 01/03/2021 – 7:39
Minoli: «Racconteremo l’anima della Calabria attraverso i suoi “paesaggi umani”» – VIDEO

LAMEZIA TERME «Per parlare bisogna avere qualcosa da dire. Per avere qualcosa da dire bisogna pensare e studiare», diceva Amintore Fanfani, una delle tante voci raccolte dal mondo e donate alla storia da Giovanni Minoli. Può essere riassunta così l’essenza dell’ospite speciale del talk condotto da Danilo Monteleone e Ugo Floro che andrà in onda eccezionalmente questo lunedì (1 marzo), alle 21 sul canale 211 del digitale terreste e in streaming. Minoli si presenta negli studi de L’altro Corriere Tv in veste di commissario straordinario della “Calabria film commission” per dare qualche anticipazione sui progetti futuri portandosi dietro la sua storia, espediente fondamentale per attingere a uno sguardo ampio sul mondo della politica contemporanea.

Calabria Film Commission, «la nuova “industria” della fantasia»

Giovanni Minoli viene investito del ruolo di commissario straordinario della “Calabria film commission” dall’allora presidente Jole Santelli della quale condivide la visione e raccoglie la sfida.
Nel farlo, torna a conoscere, o meglio, a riscoprire la Calabria che oggi definisce «un mondo straordinariamente ricco, pieno di persone da scoprire e raccontare».
«Sono emozionato – racconta ai conduttori – dalla scoperta dei “paesaggi umani” che incontro ogni giorno in Calabria. Pensavo che i calabresi bravi fossero andati via e invece mi accorgo che molti sono rimasti».
La sfida lanciatagli è quella di raccontare la regione attraverso la «lunga serialità» che Minoli definisce «il nuovo romanzo popolare». Per questo Jole Santelli voleva proprio lui, memore delle fortunate esperienze di “Un posto al sole” in Campania e “Agrodolce” in Sicilia. «Mi ha cercato per esprimere questo suo desiderio che quella fabbrica della fantasia potesse essere replicata in Calabria per formare, ma soprattutto per tirare fuori l’anima e la bellezza di questa regione raccontandola per quella che è. Senza stereotipi».
Il progetto in questione introduce al concetto di “industria”, segnando uno rinnovamento rispetto al passato. «Quello che mi è stato chiesto è di mettere in piedi l’industria della fantasia che potesse vivere attraverso la fiction seriale».
Sono tanti i giovani calabresi che hanno dimestichezza con la macchina da presa, ma spesso vengono scoraggiati da una pesante filiera burocratica. «Per ora non vedo questo ostacolo, quanto più una Regione che in prima persona viene alle riunioni di sceneggiatura dei nostri progetti».
Il fine è quello di raccontare al meglio questa terra. Il mezzo, spiega Minoli, «è la quotidianità» che «colpisce al cuore». «La geografia dell’anima della Calabria è una scoperta che emozionerà e convincerà tantissime persone perché questa regione ha una stratificazione di culture e religioni che è simbolo del sincretismo. Riuscire a tirare fuori questo aspetto attraverso le facce e le storie delle persone sarà il nostro obiettivo». Il progetto vuole anche essere crocevia per superare lo «stereotipo» indotto dall’immaginario legato alla narrativa ‘ndranghetista, diffuso in quanto «più facile da raccontare».

«La politica non ha prodotto leader eccezionali in questi ultimi anni»

Giovanni Minoli rimane prima di tutto un giornalista. Un esponente della categoria che ha avuto una conoscenza diretta di molti esponenti politici. Mutano i tempi e i volti, ed è difficile dare risposte compiute sull’attuale contesto. «Ogni epoca esprime se stessa; esprime i suoi leader. E se i leader sono modesti, quello che esce è modesto. Se i leader sono grandi, quello che esce cambia il paese».
«Non abbiamo prodotto dei leader eccezionali in questi ultimi anni» aggiunge, spezzando una lancia a favore del Movimento 5 stelle, per aver intercettato «una forte crisi sociale, canalizzandola e parlamentarizzandola». Un moto socio-politico, in fin dei conti, «durato poco» perché «le cose, prima di dirle, bisogna farle. Se oggi io rispondo alle vostre domande è perché ho alle spalle una storia di cose fatte. Posso avere una presunzione positiva».
Il contesto racconta invece di una biforcazione plasmata dai due significanti del termine “crisi”, contenente, secondo alcuni, anche il segno positivo dell’“opportunità”.
«Vedo due governi: quello di Draghi, che mi sembra solido e strutturato; quello della politica, che vedo ancora incerto sul da farsi». «Draghi – specifica – avrà vinto se avrà vaccinato tutti. Lui può essere un acceleratore enorme come anche un freno, a seconda dei contesti. Io prendo questa come un’occasione d’oro perché si passa da una politica di austerità a una politica di sviluppo. Questo può essere il momento della grande opportunità com’è stato nel dopoguerra» sebbene «si riesce ad essere coesi quando si individua un nemico comune. E così come all’epoca fu l’Antifascismo, oggi dovrebbe essere la volontà di sanare il paese».

«La modestia della politica odierna deriva da un giornalismo più servile»

Tra i suoi lavori, celebri sono l’intervista attesa tre anni con Amintore Fanfani o le conversazioni con Giorgio Almirante, definito uno «showman pazzesco». Solo per citarne alcune. Cronache di chi visse e raccontò la “Prima Repubblica” tanto da smentire, oggi, la presunta «retorica che c’è su Andreotti, divenuto tale per il bacio di Totò Riina – vero o presunto che fosse – che ha fatto di lui un emblema di qualcosa. Mentre invece nella Democrazia Cristiana ha sempre fatto l’uomo di governo e mai il “leader”. Il suo essere enigmatico era forse dato dal suo barcamenarsi all’interno del partito».
Ricordi sfuocatisi a fronte dell’evoluzione politica del nostro paese. Dalla “Prima Repubblica” alla «confusione» odierna molto è cambiato. Anche sotto l’aspetto della narrazione della politica. «La “Prima Repubblica” ha come punto di forza il fatto che i due blocchi di potere mettessero in scena battaglie di valori, confrontandosi ideologie». Al contempo «aveva il limite dell’appartenenza come vincolo perché bisognava stare o di qua o di là».
Un dualismo fisicamente rappresentato, secondo Minoli, dal muro di Berlino e dalla sua caduta, dopo la quale «non c’era più l’obbligo di schieramento e potevano finalmente essere raccontati pezzi di storia» rimasti chiusi a chiave fino a quel momento.
La «modestia» del contesto odierno, viceversa, «deriva anche dalla modestia del giornalismo. Il rapporto tra politica e giornalismo è molto stretto. Le paure sono tante, il servilismo aumenta, gli uffici stampa hanno un potere molto maggiore su ciascuno di noi». Il tutto esasperato dalla «crisi dei giornali che ha portato le punte di diamante della carta stampata a trasferirsi in televisione, ma non sapendola fare, l’hanno trasformata in radio».
«Oggi manca l’approfondimento reale dei problemi, quindi l’elaborazione profonda delle idee. Non si può avere qualcosa da dire ogni giorno che sembra nuovo solo perché non c’è l’ideologia». Questo è il grande inganno della modernità che porta «all’impoverimento del significato delle parole che sono state ridotte in proiettili dai talkshow, così perdendo la loro carica originale». (redazione@corrierecal.it)

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