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Colpo al clan Muto, l’indagine partita dalla denuncia della nonna di un consumatore di droga – VIDEO

A fornire i dettagli dell’operazione, il procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri. «Non si muoveva foglia senza il volere del clan». Le estorsioni, il broker reggino e i pusher minorenni

Pubblicato il: 10/03/2021 – 12:32
di Fabio Benincasa
Colpo al clan Muto, l’indagine partita dalla denuncia della  nonna di un consumatore di droga – VIDEO

COSENZA «Indagini importanti svolte dai carabinieri che lavorano in una provincia ampia come quella cosentina». A parlare è il procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, questa mattina presente alla conferenza stampa nel comando provinciale dei carabinieri di Cosenza per fornire ulteriori dettagli nell’ambito delle investigazioni relative ad un’organizzazione criminale operante sotto l’egida della storica consorteria mafiosa “Muto” di Cetraro. Al tavolo, insieme al procuratore anche Vincenzo Capomolla, procuratore aggiunto di Catanzaro che si occupa delle investigazioni inerenti alla ‘ndrangheta dell’area del Tirreno cosentino. «La particolarità di questa indagine è il riferimento alla famiglia Muto che costituiva una garanzia per i fornitori di cocaina. La droga veniva reperita nella Locride, la zona più importante per quanto riguarda la presenza di canali di rifornimento di questo tipo di sostanza stupefacente. I Muto erano una garanzia, nulla si muoveva sul territorio senza il volere della cosca».

Lo spaccio e le estorsioni

Due le attività principali del core business del clan Muto: lo spaccio di droga e le estorsioni. Nell’inchiesta sono 44 gli indagati (qui i nomi), 33 quelli attinti da misura cautelare, e 68 i capi di imputazione, con il reato più importante legato al traffico di sostanze stupefacenti aggravato dalla disponibilità di armi e dall’agevolazione della cosca. «Le piazze di spaccio – ha sostenuto il comandante del comando provinciale dei carabinieri di Cosenza, Pietro Sutera – sono presenti in tutto l’Alto Tirreno cosentino, partendo da Cetraro che è l’epicentro del clan ma anche Santa Maria del Cedro, Buonvicino, Belvedere e Scalea». Sono 250 gli episodi di cessione di droga documentati dalle attività investigative, fino agli episodi estorsivi che in tre casi hanno riguardato imprenditori e commercianti della zona.

La denuncia di una nonna disperata

A rendere particolarmente importante l’operazione è sicuramente la denuncia di una nonna disperata per via del nipote, schiavo della droga. Un assuntore divorato dalla polvere bianca. Da quell’appello disperato rivolto ai carabinieri, gli investigatori hanno avviato controlli e verifiche e certificato numerosi episodi di cessione di stupefacente in diverse piazze del Tirreno cosentino. Dalla droga, chi indaga è arrivato anche alla scoperta – sempre grazie a una denuncia – di una attività estorsiva esercitata dalla cosca Muto sia per mostrare i muscoli sul territorio sia per ottenere denaro utile a riempire la “bacinella” comune e garantire il sostegno alle famiglie dei detenuti.

Il pizzo come forma di controllo

Sono tre gli episodi di tentata estorsione documentati. «Nel 2016 – dice il comandante del Reparto operativo di Cosenza, Giovinazzo – si è verificato un tentativo di estorsione ai danni di un’impresa nel settore edile alla quale era stato chiesto di mettersi da parte nei lavori di pulizia di un villaggio turistico di San Nicola Arcella. Si doveva estromettere l’impresa per inserirne una vicina alla cosca». Gli altri due episodi risalgono a marzo 2017 e riguardano un’impresa di articoli sportivi a Belvedere. «Alcuni uomini legati alla cosca hanno avvicinato il titolare del negozio nonostante avesse minacciato denuncia alle forze dell’ordine, continuando a chiedere il pizzo. Si parla di una cifra pari a circa 20mila euro». Un altro episodio infine i carabinieri lo accertano a Scalea ai danni di un’impresa legata all’allevamento di animali. «Si tratta – aggiunge Giovinazzo – di un vecchio debito saldato dall’impresa ma che diventa spunto per chiedere ulteriore denaro». Tutti e tre gli episodi sono aggravati dal metodo mafioso.

Il broker reggino e le piazze di spaccio

L’attività più redditizia per la famiglia Muto resta quello dello spaccio di droga. A coordinare tutte le piazze era un broker reggino. «Sul fronte della lotta al traffico di stupefacenti, l’attività parte all’indomani dell’operazione “Frontiera”», dice in conferenza stampa il capitano Giordano Tognoni, alla guida dei Carabinieri della Compagnia di Paola. «La cocaina – aggiunge – arriva dalla locride, mentre la marijuana veniva prodotta in loco, l’hashish veniva acquistato da altre piazze». «C’era una rete di supporto di pusher anche minorenni – sostiene – e per quanto riguarda i sequestri abbiamo rinvenuto circa 2kg e 700 grammi cocaina, oltre 300 grammi di marijuana e 20.000 euro in contanti. È stata documentata la movimentazione di circa 50kg di marijuana.

Il bunker

Come già anticipato questa mattina (qui la notizia), i carabinieri nel corso delle odierne perquisizioni hanno rinvenuto nell’abitazione di un indagato anche un bunker. Si tratta di un nascondiglio ricavato nel soffitto di un bagno. «Ci sono degli ulteriori accertamenti da eseguire – ha precisato Sutera – è chiaro che bisognerà capire l’utilizzo del bunker e l’ulteriore possibile impiego, magari per nascondere un latitante».

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