Il Gesù che entra a Gerusalemme accolto dalla folla come un re, ma a differenza dei re a cavalcioni di un’asina, a simboleggiare modestia e mitezza, è il segno umano delle parole scolpite nel tempo dall’archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann. Oggi come allora, nel ricordo e nella riproposizione di quel giorno di festa, si agitano al vento rami d’ulivo, emblema di accoglienza, di una presenza che annuncia la pace, intesa come serenità dell’anima che consente di guardare oltre. Ed è questo un messaggio che non conosce il peso dei secoli e si rivela attuale e palpitante anche nel presente, turbato – ormai da un tempo consistente – dalla pandemia.
In questo anno trascorso a contare morti e contagi, con bilanci aggravati da disperazione e sofferenza, si è constatata l’inadeguatezza degli arsenali a difendere l’uomo da un virus e si è compreso che molto più importante delle armi è la capacità di tenere nella dovuta considerazione la persona, e per questo di approntare interventi di protezione sociale per tutti ed a misura di ciascuno, non solo a vantaggio dei già garantiti, diversamente da quanto avvenuto anche negli Stati considerati moderni e illuminati, dove il bisogno di fronteggiare l’emergenza ha ispirato risposte disumane, come testimoniano le recenti vicende legate alla vaccinazione di questa o quella categoria produttiva, invece che dei più anziani, e prima ancora gli assilli generati dai criteri di accesso ai posti limitati nelle unità di terapia intensiva, sempre a discapito degli anziani.
Guardando a ciò che accade, e ripensando a Cristo che entra nella Città Santa acclamato dai fanciulli, torna in mente quanto scrive il teologo Jürgen Moltmann: «Il Dio della libertà, il vero Dio, non lo si conosce dalla potenza e dalla gloria che egli manifesta nel mondo, ma dalla sua impotenza e agonia sofferte sul legno della vergogna. Gli dei del potere e dell’opulenza, che vivono nel mondo e nella sua storia, stanno dall’altra parte della croce, perché è in loro nome che Gesù viene crocifisso». È un invito a scegliere da che parte stare. Soprattutto, è un appello a mettersi in gioco, a non aver paura di spendere la propria esistenza per gli altri, a ricevere donandosi.
La pandemia ha squarciato il velo dell’ipocrisia e della fallace apparenza: i veri eroi non sono coloro i quali hanno fama, soldi e successo, ma quanti danno sé stessi al servizio del prossimo. Proprio come i medici, gli infermieri, i netturbini, le cassiere ed i commessi di supermercato – e come loro tanti altri, dignitosamente umili e modesti – che in questi mesi difficili hanno consentito alle nostre vite di evitare il caos. «Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve», ammonisce papa Francesco. Parole da tenere a mente, e nel cuore, per dare sostanza e anima a questa Domenica ed a quelle che verranno.
*Presidente Cec e arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace
(Tratto da www.calabriaecclesia.org)
x
x