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Nicolino Grande Aracri: il pentimento, la famiglia e «la cosca costruita a tavolino»

Il 10 giugno il boss potrebbe rendere le prime dichiarazioni da “pentito” nel corso del processo “Aemilia 1992”

Pubblicato il: 16/04/2021 – 17:01
Nicolino Grande Aracri: il pentimento, la famiglia e «la cosca costruita a tavolino»

CUTRO Cosa nasconde il pentimento di Nicolino Grande Aracri? Fino a che punto il boss collaborerà con la giustizia? Per ora, gli stessi magistrati antimafia restano cauti confermando la volontà manifestata da “Mano di gomma” di iniziare un percorso di collaborazione (QUI LA NOTIZIA). Ovviamente sulle confessioni già rese vige il massimo riserbo, non è dato sapere quali e quanti argomenti abbia trattato, fino a che punto sia deciso a vuotare il sacco fornendo dettagli preziosi agli investigatori. Di sicuro, il prossimo 10 giugno il boss cutrese potrebbe rendere le prime dichiarazioni da pentito nel corso dell’udienza del processo “Aemilia 1992” che si terrà davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Bologna. Si tratta di un troncone del processo Aemilia, istruito per far luce sul duplice omicidio di Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero, avvenuto a Reggio Emilia e Brescello 29 anni fa. La Corte d’Assise ha riconosciuto colpevole Nicolino Grande Aracri solo per l’omicidio Ruggiero.

La famiglia

Grande Aracri si è seduto al tavolo con le potenti cosche calabresi, pur negando per anni l’esistenza del gruppo criminale: «posso dire che la cosca Grande Aracri è stata costruita a tavolino perché fino al 2000 non c’è mai stata». Mentre il boss tentava – senza successo – di convincere i giudici, la cosca allungava i tentacoli in diverse regioni del nord, infettando il tessuto economico e diversificando gli investimenti nei business illeciti. A comandare il sodalizio criminale, con il capo indiscusso costretto in carcere, sono state tre donne: la moglie e la figlia del boss, Giuseppina Mauro ed Elisabetta Grande Aracri (finite in carcere nell’inchiesta Farambusiness), ma anche la consorte di Ernesto Grande Aracri, Serafina Brugnano (indagata nella medesima operazione). Le tre – secondo quanto ricostruito dall’accusa – avrebbero avuto il pieno controllo del potente clan di Cutro durante il periodo di detenzione dei rispettivi mariti. Donne capaci di «rappresentare e restituire le figure apicali dell’organizzazione, provvedendo a dare disposizioni e direttive agli associati nella pianificazione delle attività illecite, anche in ragione delle indicazioni provenienti dai congiunti detenuti». Cosa ha spinto “Mano di gomma” a saltare il fosso? Ancora è presto per avere una risposta, ma una cosa è certa: il suo pentimento – per molti – vale quanto quello di Tommaso Buscetta. (f.b.)

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