LAMEZIA TERME «Quando ci sono i lavori a Nocera Terinese o diciamo lavori edili sulla strada anche a Falerna, diciamo li rappresenta questa Carmelo Bagalà (…) quando c’è un lavoro lui si, diciamo, il Bagalà si deve riferire sempre ai Iannazzo di Sambiase..». Sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Rosario Cappello, a tratteggiare quelli che sono i contorni del potere criminale del boss 80enne, Carmelo Bagalà, finito in carcere in seguito all’operazione “Alibante” della Dda di Catanzaro.
Cappello è un esponente della criminalità organizzata lametina (nella zona della “montagna”), dal 2003 affiliato alla cosca Giampà, particolarmente vicino ai Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Durante la sua collaborazione con la giustizia riporta le “confessioni” di un altro elemento di spicco, Pasquale Lupia. Bagalà, dunque, «gestiva le attività di estorsione e il narcotraffico, quest’ultima attività anche per conto della potente cosca dei Piromalli, essendo di fatto confederato alla cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte», mentre «l’attività estorsiva il boss Bagalà la gestiva con un proprio gruppo “di fuoco” nei comuni della fascia costiera tirrenica del Catanzarese, Falerna e Nocera Terinese, estendendo la propria influenza criminale fino al confine di Amantea».
Ma la storia di Carmelo Bagalà e dell’omonima cosca è molto lunga e travagliata, e affonda le radici già alla fine degli anni ’80, periodo della sua costituzione sul territorio compreso tra Falerna e Nocera Terinese, sul litorale tirrenico della provincia di Catanzaro, cosca peraltro riconosciuta da tutte le consorterie criminali già presenti nei territori limitrofi e, in particolare, a Lamezia Terme. Già poco più di trent’anni fa, dunque, erano stati ricostruiti i primi contatti di Carmelo Bagalà e le principali cosche di ‘ndrangheta attive nel Reggino quali i Piromalli, Barbaro, Molè, Tripodi e Pelle, ma anche nel Cosentino, Serpa, Gentile e Lanzino, e del Vibonese, Bonavota, Lo Bianco, Anello, Fiumara e Fiarè. Carmelo Bagalà, originario di Gioia Tauro da dove era emigrato alla fine degli anni ’60, si associa dunque con la locale di ‘ndrangheta dei Iannazzo di Sambiase (Lamezia Terme), po divenuta Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, con a capo Vincenzino “moretto”, così come era già emerso nell’inchiesta “Andromeda”.
La storia dei Bagalà e in particolare del boss, Carmelo, conoscerà anche delle pagine sanguinose ma che, di fatto, ne hanno accresciuto il suo potere criminale, grazie all’essenziale appoggio della cosca Iannazzo di Sambiase, quartiere di Lamezia Terme. A raccontare quel periodo storico sono diversi pentiti, tra cui soprattutto Gianfranco Norberti, prima affiliato ai Bagalà, poi divenuto un feroce contendente. Già perché quando Carmelo Bagalà finisce in carcere negli anni ’90, ad assumere la guida della cosca è Roberto Isabella, divenuto però un ostacolo all’ascesa criminale di Norberti che tenta la strada della “scissione” insieme a Giovanni La Polla, Salvatore Ruberto, Bruno Gagliardi (cl. ’66), Bruno Gagliardi (cl. ’74) e Gennaro Pulice. Gli “scissionisti”, così come ricostruito dalle dichiarazioni di Norberto, sfidarono pubblicamente “i quattro di Nocera”, ovvero i sodali del clan Bagalà, Roberto Isabella, Giuseppe Vescio e Gennaro Curcio, poi hanno raggiunto l’abitazione di Carmelo Bagalà, fino ad aggredirlo violentemente alle presenza della moglie e della figlia, Maria Rita.
Il gruppo criminale nascente, e in aperta contrapposizione con Bagalà, decretò successivamente la sua uccisione, senza però riuscirci, e così Norberti e i suoi sodali decidono di cambiare strategia ed eliminare uno dei suoi uomini di fiducia, concentrando le loro attenzioni sul negozio “Auto BA. IS”, (Bagalà-Isabella ndr) ritrovo dei componenti del clan. Il progetto sanguinario si compirà il 17 agosto 1995 quando il commando guidato Gianfranco Norberti, nei pressi del negozio, uccide Gennaro Curcio (l’esecutore materiale era Gennaro Pulice). Carmelo Bagalà, grazie soprattutto alla protezione della cosca Iannazzo e Gino Daponte, riesce poi a sedare la sete di sangue degli “scissionisti”. Tre giorni dopo, infatti, verrà ucciso Luigi Calidonna, esponente della cosca Gattini-Pagliari. Omicidio che, secondo le dichiarazioni dello stesso Norberti, costituiva la reazione da parte dei Iannazzo contro il tentativo di scissione. Calidonna, infatti, era considerato non solo vicino agli “scissionisti di Sambiase”, ma ne avrebbe anche curato l’organizzazione.
La cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte non aveva accettato di buon grado l’iniziativa contro Carmelo Bagalà. Pulice e Bruno Gagliardi, convocati dai boss, raccontano la loro versione, spiegando che l’omicidio di Curcio era stato voluto da La Polla e Ruberto detto “il Diavolo”. E la cosca, senza pietà, decide di giustiziarli. È il 29 settembre 1995 e nel corso di quella che resterà alla storia come la “strage di Sambiase”, un commando armato uccide Giovanni La Polla e Salvatore Ruberto, ferendo invece Bruno Gagliardi, Rosario Orlando e Antonio Liparota. Una mossa finale che ha permesso alla cosca Iannazzo di porre fine alle mire scissioniste del gruppo ormai stroncato, riconfermando l’egemonia di Carmelo Bagalà quale boss indiscusso del territorio della costa tirrenica catanzarese.
Per il collaboratore di giustizia, Gennaro Pulice, a Nocera, i Bagalà «non hanno una cosca loro» ma «hanno proprio i contatti sia con i Iannazzo che con i Daponte. Cioè la gestione delle estorsioni la fanno sempre per conto solo dei Iannazzo». Per il pentito, dunque, Carmelo Bagalà sarebbe il referente della cosca Iannazzo sul territorio di Nocera Terinese, insieme a Roberto Isabella, Giuseppe Vescio e «un certo Fiorenzo, colui che ha i supermercati in quella zona, che in realtà sono dei Bagalà». Per Pulice, di fatto, «niente si muove se non vogliono i Iannazzo.. Bagalà è solamente una lunga mano dei Iannazzo su Nocera». Il pentito, poi, indica anche Vittorio Macchione quale “storico imprenditore di riferimento” di Carmelo Bagalà.
Ulteriore conferma sul ruolo di Carmelo Bagalà arriva da un altro importante collaboratore di giustizia, Andrea Mantella. Nell’interrogatorio reso il 14 luglio 2018, infatti, Mantella conferma l’affiliazione di Bagalà «quando ancora si trovava a Gioia Tauro, successivamente trasferitosi nel lametino». «Sia Giovanni Torcasio, quello che è stato ucciso, sia il “Professore” e sia altre persone dicevano “E sì, questo lo stanno… è un referente suo della zona del mare diciamo, Nocera Terinese, Gizzeria..».
I contatti del boss Carmelo Bagalà però si estendevano anche oltre i confini calabresi e nazionali, fino addirittura a raggiungere il Sud America e, in particolare, l’Argentina già dagli inizi degli anni ’90. Dettaglio peraltro già emerso nel corso dell’inchiesta “Ba.Is”, nata dopo la “strage di Sambiase”. Bagalà, inoltre, era anche in possesso di documenti di riconoscimento rilasciati dall’Argentina. Circostanza emersa anche in questa attività investigativa, prova dei contatti ancora esistenti con gli ambienti argentini. Nel corso di una intercettazione captata ad agosto del 2018, infatti, Bagalà afferma «(…) sì sì ma infatti a me mi chiamano dall’Argentina» mentre in altre conversazioni verrà intercettato mentre è in contatto con altri soggetti di origine calabrese e dimorati in Argentina, un tale Federico non meglio precisato e Luis Alberto Ottaviano, soggetto già indicato nell’inchiesta Ba.Is «come appartenente alla cosca Bagalà». (redazione@corrierecal.it)
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