LIMBADI «Per noi è bello vedere tutte queste persone qui per Maria. La vicinanza è importante, ma non basta. Sono passati cinque anni: abbiamo bisogno di sapere la verità». Pina è la mamma di Maria Chindamo. Dalle sue parole, e prima ancora dai suoi occhi, traspare il sentimento scaturito dalla vicinanza di chi anche oggi ha voluto esserci. Traspare il dolore, per la perdita di una figlia dovuta a colpevoli senza volto. «Dateci, date ai suoi figli, la possibilità di piangere sulle sue spoglie». D’impatto, ferma chi cerca di intavolare domande riprendendo le cruente dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia sulle possibili dinamiche relative al sequestro, all’uccisione e alla distruzione del cadavere dell’imprenditrice calabrese. Talune parole producono immagini così vive da potersi toccare. Ma oggi c’è bisogno di celebrare la vita, il sorriso di Maria che si rivede in alcuni tratti delle espressioni dei suoi figli Vincenzino, Federica e Letizia. Loro, insieme alla nonna Pina e allo zio Vincenzo sono tra i primi ad arrivare davanti al cancello del terreno dei Chindamo, luogo della scomparsa risalente al 6 maggio 2016.
«Mi ha fatto male percorrere, in questo stesso giorno, la strada che ha fatto Maria quella mattina». La giornata di Vincenzo Chindamo inizia presto. L’orario è approssimativamente quello in cui la sorella si recò davanti al cancello in “contrada Montalto”, nel comune di Limbadi. Lui giunse dopo, trovando quel cancello ancora chiuso. Davanti, l’automobile di Maria col motore ancora acceso, qualche traccia di capelli, sangue e un enorme vuoto. «Cinque anni fa, dopo la scomparsa di Maria, ci sentimmo soli – dice rivolgendosi ai presenti – vedervi oggi, a chiedere insieme a noi verità e giustizia, ci riempie il cuore di speranza».
Maria Chindamo era prima di tutto una donna libera, in una terra che non poteva dire altrettanto di sé. «Questo “tribunale clandestino” aveva già decretato la sua fine, ma non la fine dei sogni di tutti gli uomini e le donne calabresi».
I cinque anni trascorsi sono stati un «ergastolo del dolore». «Momenti di solitudine e di sconforto. Tanti bocconi amari per le persone che non abbiamo incontrato e per quelle che sono state anche dei cattivi incontri». Ma questi cinque anni, sono stati anche importanti per la famiglia Chindamo: «Abbiamo incontrato – dice Vincenzo – forze dell’ordine, uomini dello Stato, la Chiesa, associazioni e tantissima gente comune. Questi incontri ci hanno resi consapevoli di far parte di una comunità diversa, che vuole cambiare».
«Il vento che soffia, forse è ancora una brezza, ma è la strada giusta. Non ci stancheremo mai di chiedere verità e giustizia e non ci stancheremo mai di combattere e sperare. Quella speranza con la esse maiuscola, che non assomiglia al dubbio, ma alla certezza. Sono certo che non perderemo mai la speranza». E rivolge un appello alle forze dell’ordine e alla magistratura: «Se già state facendo un passo in più, fatene anche due».
Il rispettoso silenzio intorno alle sue parole viene rotto da un sentito applauso che induce a guardarsi intorno. Fissi sulla famiglia Chindamo, rivolti verso il cancello delle terre di Maria, ci sono gli occhi della parte migliore di una Calabria che vuole rinascere. Tra i primi ad arrivare ci sono i testimoni di giustizia Rocco Mangiardi da Lamezia e Carmine Zappia da Nicotera. A poco a poco la strada si riempie con i rappresentanti delle forze dell’ordine, carabinieri, agenti, il prefetto, la Dia. Lo Stato è a Limbadi. E ciò che sorprende ancor di più, dicono i familiari, «è la spontaneità di questa presenza: non abbiamo fatto inviti ufficiali. Chi è venuto lo ha fatto perché lo sentiva». In rappresentanza del governo, c’è il sottosegretario Dalila Nesci: «Noi ricordiamo Maria Chindamo per questo sorriso guerriero. Ma lei ha sofferto tanto così come tutti noi».
«La Calabria – continua – ha avviato da tempo la sua rinascita. Forse un po’ silente, un po’ lenta, ma è scattato qualcosa, nella mente e nel cuore, e finalmente anche il velo di ipocrisia in tutta Italia sulle dinamiche della ‘ndrangheta è caduto. Oggi è una realtà internazionale».
L’antimafia è dunque chiamata a nuove sfide, non soltanto in termini di repressione e contrasto, ma anche di «prevenzione, che significa favorire l’emancipazione culturale, perché la ‘ndrangheta perde terreno man mano che si illuminano le menti e i cuori, soprattutto dei nostri giovani».
Nesci sottolinea l’impegno a valutare, in sincrono con la prefettura, l’eventuale esistenza dei criteri per poter riconoscere Maria Chindamo una vittima innocente delle mafie, per manifestare vicinanza una volta in più ai suoi familiari.
Quella di Limbadi, così come di tante altre realtà simili in regione, è stata nel tempo la storia delle dimenticanze dello Stato. E nei punti oscuri si è annidata la criminalità corrompendo i minori, arrogandosi il potere sul territorio, distruggendo con fuoco e sangue gli ostacoli che si frapponevano ai suoi obiettivi. È questa la storia di Maria Chindamo, simile a quella di Matteo Vinci, accomunati dopo le dichiarazioni più recenti. Anime resistenti nel “feudo” dei Mancuso, che cercano oggi verità, ancor prima che giustizia. Tra la folla c’è anche la madre di Francesco Vangeli, ma idealmente ci sono tutti i familiari delle vittime innocenti della ‘ndrangheta.
«Vi accompagniamo in ogni passo, non siete mai soli – conclude il sottosegretario – e nessuno deve pensare che questa sia una battaglia personale: questa è una battaglia di civiltà come stiamo già dimostrando».
«C’è speranza per la Calabria perché ci sono persone perbene. Siamo noi giovani a dover rilanciare questo messaggio di positività». Federica, la figlia “di mezzo” di Maria Chindamo, è vicina ai suoi fratelli, assiste la nonna, che pur, lo ricorda, «è la mia roccia».
Sono diverse le realtà che hanno partecipato all’organizzazione della giornata odierna. C’è Valentina Fedele in rappresentanza del centro “Women’s Studies Milly Villa” dell’Unical, che nei mesi scorsi ha proposto l’intitolazione di una borsa di studio a Maria Chindamo. C’è Sabrina Garofalo, in rappresentanza del comitato “Controlliamo noi le terre di Maria”, che «nasce per dare una risposta concreta e al contempo simbolica a coloro i quali hanno pensato di potersi comportare come i padroni di queste terre». Oggi è necessario interrogarsi sul bisogno del «controllo dei territori, delle vite quindi dei corpi». La storia di Maria è quella di Barbara Corvi e delle donne che hanno dovuto pagare un prezzo per la loro libertà. «Maria ha dimostrato a tutte e tutti che il grande potere sta nel poter essere, in quella forza che deriva dall’autodeterminazione e dalla libertà delle donne»
Ci sono le associazioni, come Penelope, che ricorda i tragici numeri delle persone scomparse, soprattutto in Calabria. L’arrivo dei volontari di Libera, invece, si nota da quelle bandiere arancio, giallo e fucsia appese vicino al cancello. Tutto, d’improvviso, prende vita. In rappresentanza dell’associazione di don Ciotti ci sono diversi presidi e coordinamenti come quello della Piana di Gioia Tauro, del Catanzarese, della Locride oltre al coordinamento di Vibo Valentia, che fin da subito si è speso prendendo per mano i familiari di Maria Chindamo, accompagnandoli in questo percorso di ricerca della verità. «Siamo qui perché sta crescendo la speranza», dice il referente regionale, don Ennio Stamile: «La speranza cresce perché crescono i sindaci, presenti, come il vicesindaco di Limbadi».
«Questa è una terra ferita ma bella. I cittadini onesti chiedono che questa terra venga liberata da ciò che la opprime, che ha un nome: si chiama ‘ndrangheta». Dagli anni 80 ad oggi si contano circa 50 casi di lupara bianca. «Ci sono tanti familiari che non solo attendono verità e giustizia, ma anche solo di andare a mettere un fiore sulla tomba del proprio caro. Questo produce la ‘ndrangheta». E anche lui lancia un appello: «Vibo non merita questa girandola di questori e prefetti. Abbiamo bisogno di una presenza continua e costante perché in poco tempo si può fare molto ma non tutto. L’assenza e talvolta la collusione delle istituzioni con la ‘ndrangheta ha impedito a questo territorio di svilupparsi. Il nostro impegno è che questo territorio nasca a nuova vita».
«Conoscevi Maria? La distanza taglia il cuore come una lama di diamante». Letizia, la figlia minore di Maria Chindamo, presta infine la sua voce ai versi composti da alcuni dei ragazzi delle scuole che hanno partecipato alla giornata: «Donna di cultura, per il tuo coraggio e la tua serenità hai pagato un prezzo amaro. Ma sei qui, ancora con noi, davanti al cancello della verità. Se potesse parlare, camminare, respirare. Lo sentiamo sussurrare, aliti di speranza, che colorano il volto di chi chiede giustizia. Non conoscevi Maria, ora sai chi è». (redazione@corrierecal.it)
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