Logoramenti, maldestri tatticismi e cultura del personalismo imperversano anche nel ginepraio del centrosinistra cosentino. Roba da far rabbrividire i più scaltri tra i teatranti della galassia politica (penserebbe qualcuno) ma è storia arcinota e, non desta nemmeno più scalpore, quel masochismo di taluni dirigenti che siedono al tavolo solo per conservare e difendere posti di potere: per il centro sinistra de noantri, infatti, l’importante non è vincere, ma partecipare.
Guardiamo al nocciolo. Cosenza – porta di ingresso della Calabria e Città dalla visione Europea – chiamata alle urne il prossimo autunno, potrebbe essere decisiva nello scacchiere del Mezzogiorno se solo il commissario Pd, Marco Miccoli – chiamato da Roma a Cosenza – per sbrogliare la complicata matassa cosentina non contribuisse ad alimentare il toto-nomi dei candidati a sindaco per il capoluogo bruzio.
Giacomo Mancini Jr e Felice D’Alessandro (dicono i bene informati) sono i nomi che Miccoli avrebbe sedotto per poi abbandonare, come nel film di Pietro Germi. A ciò si aggiunge la corsa, già ai nastri di partenza, dell’avvocato Franz Caruso su cui scommettono invece frange importanti del Pd cosentino.
Miccoli appare vittima di quel populismo che si è evoluto dall’epoca dell’uno vale uno fino ai giorni nostri. Populismo diventato “sistema” che ulula alla luna e si diletta nella maestosa arte di affabulare.
Ma Cosenza non può più attendere e soprattutto merita un governo forte ed autorevole, capace di recepire le linee guida del nuovo mondo post-pandemia.
La domanda è una: Marco Miccoli saprà guidare ed organizzare le forze migliori della città senza preclusioni e veti? L’alternativa è quella di tornare a Roma per occuparsi della sua di elezione.
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