Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 22:51
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

l’analisi

«Le scelte coraggiose e il pessimismo della ragione»

Il principio di realtà, relativamente importante per gli artisti ma fondamentale in politica, suggerisce che il centrodestra ha più chance di vincere le elezioni regionali. A cento giorni dal voto. G…

Pubblicato il: 04/07/2021 – 10:36
di Romano Pitaro
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
«Le scelte coraggiose e il pessimismo della ragione»

Il principio di realtà, relativamente importante per gli artisti ma fondamentale in politica, suggerisce che il centrodestra ha più chance di vincere le elezioni regionali. A cento giorni dal voto.
Governa la Regione, ha in mano le leve della spesa, ha un candidato alla Presidenza attrezzato e politicamente avveduto. Ed essendo, inoltre, eterodiretto da segreterie politiche nazionali dal profilo ideologico grosso modo definito e con un’alleanza sufficientemente salda e scientificamente finalizzata alla conquista del potere, non tira la corda delle polemiche più del necessario.
Come invece accade al centrosinistra calabrese. Sfinito nelle membra e senza il supporto risolutivo circa le questioni locali sul tappeto della leadership nazionale. A sua volta  immersa in una fase di ricerca dell’organizzazione più adeguata alle sfide del tempo e di assestamento delle alleanze tuttora informe, approssimativa e sperimentale.
Allo stesso tempo, il principio di realtà, sulla base di circa due anni di governo della Regione e delle catastrofiche condizioni economiche e sociali della Calabria, ci dice che, vincendo il centrodestra, non c’è da aspettarsi il sopraggiungere di dinamiche innovative rispetto a quanto già visto, né sovversive del precarissimo status quo.
E tutti conveniamo che se nella prossima legislatura la Regione non aprirà una stagione di riforme strutturali, intese ad abbattere il regionalismo oligarchico e clientelare consolidato in mezzo secolo, e inventarsi, con intelligenza e fantasia, un regionalismo moderno e democratico in grado di interloquire col Paese e con l’Europa mettendo a valore le migliori competenze di cui dispone, ma al contrario seguirà la cattiva strada di sempre, saranno dolori.
Le diseguaglianze cresceranno con le povertà  già acutissime  minacciando la tenuta stessa del fragile sistema democratico.
Rischia il default la Regione. La certificazione della sua irrilevanza fino al punto di chiedersi se ancora ha senso tenere in piedi un Ente ostile allo sviluppo o piuttosto non convenga pretenderne la cancellazione.
E rischia il declino definitivo la Calabria, la marginalizzazione antropologica e lo sgretolamento di quel lacerto di coesione sociale che ancora per forza d’inerzia residua.
Essendo questo il quadro reale di riferimento con cui fare i conti, è stucchevole l’impotenza del Pd, partito capofila delle forze all’infuori del perimetro del centrodestra, nel non essere stato in grado fino a qui, nonostante la scellerata lunghissima “prorogatio”  di una legislatura che doveva chiudersi un mese dopo la scomparsa dell’on. Santelli, di  scegliere il candidato alla Presidenza e di  offrire all’aggregazione di cui è  pietra angolare linee programmatiche solide  per la discussione sugli obiettivi da conseguire per mettere in sicurezza la democrazia calabrese e rendere possibile il necessario confronto con le istanze sociali e culturali più rappresentative della società.
Tutto ciò è grave non solo perché genera sfiducia nel popolo del centrosinistra e non stimola  la voglia  di andare alle urne nel popolo abituato ad esprimere il dissenso non votando.
Ma soprattutto  perché, con un centrosinistra sterilmente litigioso, ancora  senz’anima né cacciavite, che dopo il voto arrivasse in Consiglio regionale frammentato, senza l’autorevolezza di un leader carismatico e competente e senza collegamenti sistematici e funzionali con chi fa opposizione fuori del Palazzo, si paralizzerebbe ogni minima possibilità di autocritica e di cambio di passo nella gestione della cosa pubblica da parte del centrodestra.
Con il presidente Occhiuto obtorto collo ossequioso di patti costruiti per vincere e  rigorosamente incentrati sulla ripartizione di assessorati e incarichi subregionali da farsi con l’immarcescibile manuale Cencelli, e un’opposizione casuale e inevitabilmente priva di slancio, quali riforme potranno mai vedere la luce?
Quali speranze avrebbe la Calabria che, malgrado l’autoreferenzialità patologica della politica, combatte per stare sui mercati o che confida sulle proprie forze e su una resilienza che meriterebbe ben altra attenzione,  per affrontare senza soccombere gli incessanti mutamenti che le rivoluzioni tecnologiche e dell’economia globalizzata impongono?
Non sembra il caso, al punto di caduta in cui siamo, di attardarsi sul fuoco amico che azzoppa il centrosinistra. Né di innamorarsi del noioso refrain “la Calabria non se la fila nessuno” (se così fosse qualche interrogativo in loco bisognerebbe porselo). Ma piuttosto di considerare che se lo scenario politico complessivo non subirà da qui al nuovo anno scossoni tellurici, le migliaia di giovani calabresi “scandalosamente non avranno la gioia di un lavoro”, come paventò mons. Antonio Cantisani nel 2003 intervenendo in Consiglio regionale nel dibattito sulla criminalità organizzata.
L’appello dell’allora Presidente della Conferenza Episcopale Calabra toccò più argomenti decisivi “per la crescita civile del Mezzogiorno” a partire dal piano morale e culturale, ma da allora sono trascorsi diciotto anni e le “scelte coraggiose” che il vescovo chiedeva alla politica non sono mai arrivate. A dare retta al pessimismo della ragione (di cui fidarsi ma con cautela) sarebbe inutile persino aspettare…

Argomenti
Categorie collegate

x

x