Carlo Cottarelli, nel luglio 2001, quando Genova col G8 divenne palcoscenico delle istanze “No global”, era al Fondo monetario internazionale: il nemico per definizione di chi protestava contro il liberismo sfrenato dei Paesi più ricchi del mondo. Vent’anni dopo il noto economista italiano, in un’intervista all’ “HuffPost”, dice che «quei movimenti guardavano in avanti mentre chi allora guidava l’economia e la finanza internazionale si rendeva solo in parte conto dell’entità dei fenomeni che stavano accadendo». Un modo onesto per dire che in quei giorni infuocati di Genova che ricordiamo solo per la violenza e le devastazioni il mondo no global anticipava dei temi che sarebbero finiti nell’agenda dei più grandi Paesi del mondo e che ci riguardano tutti, soprattutto il futuro delle prossime generazioni.
Ma cosa successe nella città della lanterna oltre quello che sappiamo da sentenze, libri, inchieste giornalistiche in quei giorni del vertice degli otto Paesi più industrializzati della Terra? Ci sono cose ancora non dette o comunque rimaste sconosciute, sebbene siano passati due decenni. Sappiamo che il primo giorno filò tutto liscio tant’è che giornali e televisioni trovarono il tempo di parlare dei limoni appesi col nylon alle piante messe lì per abbellire strade e piazze (idea di Berlusconi), ma il giorno dopo cominciarono i guai che si possono, alla fine, riassumere così: un morto (Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere), gli scontri di piazza tra forze dell’ordine e no-global, le violenze e le devastazioni dei Black bloc, l’irruzione della polizia nella scuola Diaz, i pestaggi nella caserma di Bolzaneto, quasi seicento feriti, oltre duecento persone arrestate, cinquanta miliardi di danni.
Si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto dicevamo di quel G8 di Genova, tuttavia restano misteri su quanto accaduto, e resta l’amarezza per ciò che si poteva evitare che accadesse e non si è evitato.
Un racconto inedito, di quei giorni terribili, col mestiere e il rigore del cronista di razza, lo fa Carlo Cerrato, un giornalista che all’epoca era il responsabile dei servizi giornalistici della sede Rai di Genova. È una lettura “altra”, che il cronista e scrittore piemontese (uscito dalla scuola dell’antica Gazzetta del Popolo di Torino) fa nel libro “Mani Bianche – Zona Rossa”, sottotitolo Genova G8/Capitol Hill- Memoria, simboli, suoni, colori (Erga edizioni, pagine 222, euro 12,90) con l’intento di recuperare il significato del vertice di Genova e dimostrare che il G8 del 2001 non è stato soltanto violenza, tragedia, ma anche “un grande frullato di idee, parole, simboli, voci, suoni, colori, perduti, in gran parte”. Partiamo dai simboli, come le parole scelte per il titolo del libro. “Mani Bianche”: come quelle alzate dai pacifisti in corteo, spiazzati dai fantasmi del blocco nero. “Zona Rossa”: come la città tirata a lucido per la ribalta mondiale ma rinchiusa, vietata, offesa, violentata”. Parte da qui Cerrato, per scrivere come un romanzo il lungo racconto del G8 di Genova. Un racconto corale, quasi in diretta, un nero su bianco, con la visione del giornalista televisivo e il dettaglio di uno che il mestiere lo conosce bene, lo ha imparato con la gavetta nelle redazioni che, ormai, si vedono solo nei film. Riflette sui temi della nuova globalizzazione l’autore, riannoda i fili di giornate del mondo no global che in principio furono a Seattle, poi a Porto Alegre, riferisce delle prime contestazioni ai vertici dei “Grandi”, delle proteste antisistema che hanno avuto vari colori e sfaccettature diverse.
Gli viene in mente di nuovo il G8 genovese quando vede in televisione cosa stava succedendo a Capitol Hill, e sente le cronache di Antonio Di Bella che ora è a Washington mentre quando Genova era in fiamme dirigeva il Tg3 e i due (Di Bella e Cerrato) si sentivano ogni minuto, per raccontare bene i fatti. Nel racconto corale ci sono più mani. Non solo Di Bella, intervistato sui temi di ieri e di oggi, ma tutti quelli che hanno all’epoca “documentato” il G8, con immagini, cronache, testimonianze. Molti sono stati testimoni e protagonisti di quelle giornate roventi. Ne citiamo due, che conosciamo personalmente: il telecineoperatore Rai Guido Benvenuto Complani e la giornalista Teresa Tacchella, uno dei migliori in assoluto professionisti della macchina da presa e una delle più brave giornaliste della rete regionale italiana della Rai. Ma meriterebbero di essere citati tutti e il libro meriterebbe di essere studiato nelle scuole di giornalismo, ma non guasterebbe una buona lettura neppure ai cronisti dei talk show che si ispirano alle “vannemarchi”, e non sanno cos’è il giornalismo televisivo vero: sudore, precisione, determinazione, tempestività, comando. Come quando Cerrato – lo racconta nel libro – decise che si andava in onda nello stesso istante che giunse un allarme bomba nel palazzo Rai di Genova: «Io non esco, ma siete liberi di uscire», disse ai colleghi. Non uscì nessuno. In quei momenti sei come il comandante di una nave, che potrebbe affondare.
Altri tempi, altre scuole, altre passioni. Si racconta nel libro il finimondo della scuola Diaz, la città ferita, i tamburi del blocco nero, l’amarezza del cardinale Luigi Tettamanzi, le discussioni dei “Grandi”, l’immagine simbolica di George W Bush presidente Usa «tirato, gelido, prigioniero in quella limousine dai vetri fumè».
Vent’anni dopo, molti di quei temi al centro del dibattito di Genova, sono più che mai alla ribalta scrive Cerrato. Sono i temi occultati dalla violenza e dalla repressione (cioè dalla cronaca terribile di quei giorni) che ora sono entrati nell’agenda del Governo Draghi. Sta per cominciare una nuova stagione che affronterà in modo nuovo i temi di una globalizzazione diversa? Della riduzione delle disuguaglianze, della tutela dell’ambiente, dei mutamenti climatici, del cibo, sano, pulito e giusto? Non possiamo che augurarcelo.
*giornalista
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