Capace di rivoluzionare la letteratura americana e passare alla storia con un’opera straordinaria “Il giovane Holden”, J.D. Salinger ha descritto, meglio di chiunque altro e in una semplice frase, la miscela di pensieri ed emozioni che assalgono il lettore ogni qualvolta, terminato un libro, si trova a riflettere sull’intensità della storia letta ed appena conclusa. «Mi fanno impazzire i libri che quando hai finito di leggerli vorresti che l’autore fosse il tuo migliore amico, per telefonargli ogni volta» (J.D. Salinger).
Ed è senza dubbio questo il pensiero che emerge prorompente alla fine delle 382 pagine del romanzo “Nel nome di Dio”, opera prima di una trilogia pubblicata nella collana Historiae Rizzoli e portata a compimento da Luigi Panella, avvocato con una lunga e celebrata carriera forense il cui esordio letterario promette altrettanti successi.
La citazione nordamericana pare d’obbligo perché è proprio da lì, al netto del successo planetario de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che il romanzo (neo)storico fonde in maniera prorompente le vicende narrative con eventi realmente accaduti e documentati aggiungendovi, con assoluta perizia, elementi propri del thriller.
Le citazioni, in questo caso, sono d’obbligo ed anche intuitive, da Dan Brown a Glenn Cooper in un genere che anche in Italia trova ormai solidissimi (e vendutissimi) autori.
“Nel nome di Dio” si inserisce a pieno titolo in questo filone narrativo con Luigi Panella capace di una monumentale opera di ricostruzione e documentazione storica, dalla bizzarra e tragica epopea dell’imperatore Nerone fino a secoli in cui Occidente e Oriente, Cattolicesimo ed Islam, si scontravano per la conquista della Terra Santa.
Ma si annusavano anche, affiancando al clangore delle armi ed alle migliaia di morti dialoghi nascosti, intese intellettuali, rapporti di stima nella comune consapevolezza di una storia che – tutto sommato – ha più elementi di contatto che di separazione.
Panella parte nel suo sviluppo narrativo dal 1249 e dalla battaglia di Mansura, parti in causa i protagonisti della grande storia, Luigi IX di Francia, Papa Gregorio IX, il Sultano Salih Ayyub. A fare, letteralmente, da incomodo Federico II di Svevia, discendente più illustre di quegli Altavilla che proprio in Calabria, scendendo dalla Puglia ed in accordo con il Papa, posero le basi per lo sbarco in Sicilia ed infine per la creazione della sfavillante corte di Palermo. Con Federico scomunicato sì ma passato ai posteri come “stupor mundi”.
Sul terreno invece molti protagonisti, ciascuno con una storia intrecciata all’altra, tra loro l’inquisitore Yves le Breton confessore di Luigi IX, Renaud de Vichiers ed i Templari, Umberto di Fondi, il Baybars comandante della Bahriyya.
Ma ci sono anche il tribuno Gaio Sallustio e la coinvolgente storia d’amore di quest’ultimo con Anahita, figlia di Tiridate re dell’Armenia.
I fili che legano tutto?
Il rinvenimento del corpo di Gaio Sallustio, il richiamo “archeologico” alla sesta legione romana ed alla tomba di Gesù Cristo, un cofanetto che custodisce il Corano ed un manoscritto di epoca romana che riguarda la cristianità e l’Islam.
Sul cofanetto un’iconica e significativa incisione “non c’è altro Dio che Dio”. Tutto si tiene assieme e tutto preannuncia altro. Un romanzo, dunque, la cui trama attraversa vite ricche di gloria ed esperienze straordinarie, l’ordito invece risale i secoli lungo il corso di quella storia cui far riferimento anche e soprattutto per comprendere l’oggi.
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