COSENZA Dopo l’autodenuncia del figlio, quale autore del pestaggio avvenuto nel cortile di scuola lo scorso 4 ottobre, i genitori dell’autore di quella violenza avevano inviato una lettera alla stampa. «Stiamo vivendo il dramma del fallimento», avevano scritto. Molti avevano visto coraggio in quel gesto, oltre alla sofferenza di chi ritrova la violenza in casa propria rimanendone sconvolto.
«Se davvero voglio aiutare mio figlio devo farlo alla luce del sole, non possiamo nasconderci. C’è bisogno che la comunità capisca». Stefano Pallone, ingegnere, tempo extralavorativo impiegato come volontario negli Scout anticipa così le ragioni del suo intervento negli studi di Buongiorno Regione. Da un lato il dolore di chi quella violenza l’ha subita riportando seri danni. Dall’altro quello di due genitori: «Capisco il dolore, la preoccupazione e la determinazione di una madre che vuole salvare la vita di suo figlio vedendolo sul letto ridotto in quello stato», dice Pallone commentando la lettera scritta dalla madre della vittima.
«È un dolore che ho anch’io. Mio figlio oggi è davanti a un bivio importante». Nei giorni scorsi anche il tentativo di sentire i genitori del ragazzo aggredito, l’auspicio di riuscire ad incontrarsi un domani per intessere un’«alleanza educativa».
«Non vorrei sembrare un sognatore – dice – ma spero che da tutto questo possa nascere un cammino insieme. Per far emergere, scardinare il fatto che se un approccio violento riesce a entrare in una famiglia o in una comunità, vuol dire che può entrare dovunque». Gli adolescenti, secondo Pallone, soffrono l’essere iperconnessi e al tempo stesso distanti. La connessione viva viene di solito ritrovata nella logica del branco che spesso sfocia in manifestazioni violente ai danni di chi viene identificato come più debole o indifeso. «Mi fa paura questa modalità che è anche figlia di tutti i film e i libri nati come denuncia» ma che finiscono per creare emulazione.
Anche per questo, secondo Pallone è necessario che i genitori facciano rete: «Se io faccio del mio meglio senza essere rete, a maglie larghe, i ragazzi scappano. Nel mio piccolo sono sempre stato chiaro nel presentare le criticità e chiedere aiuto. Oggi mi sento, solo ma non posso dire che sono stato abbandonato. Forse è come mi sento in virtù di questo uragano che ci ha travolti».
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