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Imponimento, il territorio diviso tra Anello e Iannazzo. Pulice: «Imprenditori vittime e collusi»

In aula bunker l’esame dell’ex killer della ‘ndrangheta, ora collaboratore. «Per Pino Fruci Stillitani era “n’amico”»

Pubblicato il: 17/12/2021 – 15:21
di Giorgio Curcio
Imponimento, il territorio diviso tra Anello e Iannazzo. Pulice: «Imprenditori vittime e collusi»

LAMEZIA TERME «La cosca Iannazzo e quella degli Anello erano legati sin da prima del 2000 per controllare il territorio tra la provincia di Catanzaro e quella di Vibo Valentia proprio perché gli Anello si trovano a Filadelfia, una sorta di “territorio cuscinetto”». A definire i confini geografici dell’influenza dei clan di ‘ndrangheta sulla costa tirrenica calabrese è Gennaro Pulice, storico killer della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte, collaboratore di giustizia dal 2015. È ripartito dal suo esame il processo “Imponimento”, nato dall’inchiesta della Dda di Catanzaro, e che si sta celebrando nell’aula bunker di Lamezia Terme. Acquisiti gli atti di suoi numerosi interrogatori resi in questi ultimi anni, il pm Antonio De Bernardo ha comunque rivolto alcune domande al pentito. A cominciare dalla definizione dei rapporti tra gli Anello e le cosche lametine. «Insieme si occupavano di estorsioni – racconta Pulice – soprattutto nelle zone dell’ex-Sir a San Pietro Lametino, per i lavori dell’autostrada, fino ad Acconia e Curinga dove c’erano gli Anello insieme alla famiglia Fruci». «Loro arrivavano fino a Pizzo, da lì in poi il territorio era sotto il controllo dei Mancuso».

La “gerarchia” degli Anello

Le dichiarazioni di Pulice, poi, definiscono poi una sorta di “gerarchia” all’interno della cosca Anello. Conoscenze indirette ma anche dirette dopo i contatti avuti in carcere nel 2004 con Pino Fruci. «Il capo era Rocco Anello, subito dopo c’era Tommaso Anello e poi Giuseppe e Vincenzino Fruci. Per gli appartenenti alla mia famiglia era inevitabile conoscere i boss che si trovavano sul territorio; sapevamo ovviamente a chi fare riferimento quando erano detenuti e si sapeva che quando Rocco (Anello) era detenuto al suo posto c’era il fratello Tommaso». Oltre alla leadership assunta da Tonino Davoli nell’ambito della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte dopo il pentimento di Pulice e la morte di Vincenzino Iannazzo «la gerarchia nella cosca Anello invece – racconta Pulice – è rimasta sempre la stessa che io ricordi e da quanto mi hanno raccontato gli esponenti della mia cosca e sapevamo anche che Rocco Anello aveva il controllo del territorio. Sapevano che era un soggetto da “tenere a bada” nonostante la considerazione non fosse altissima. Gli veniva contestato un atteggiamento che non si confaceva con la ‘ndrangheta e poi aveva rapporti con i Giampà e i Torcasio ma lo negava con noi. Consideravano poi disdicevole il comportamento della moglie di Rocco Anello, non lo rispettavano dal profilo ‘ndranghetistico ma comunque lo temevano perché era considerato pericoloso».

Estorsioni e pressioni

L’esame di Pulice, poi, verte sul controllo del territorio e, in particolare, sulle presunte estorsioni o comunque pressioni esercitate sulle strutture turistiche presenti sulla costa e, in particolare, quella dell’ex sindaco di Pizzo (ed ex consigliere regionale), Francescantonio Stillitani, suddivise tra Tonino Davoli per la cosca Iannazzo e Pino Fruci per la cosca Anello. Estorsioni che, dal racconto di Pulice, seguivano uno schema definito: «Pino Fruci mi disse che per la loro cosca utilizzava un trattore per pulire le spiagge e sistemava gli ombrelloni, si occupavano anche di manutenzione e della guardiania. Il buon rapporto con gli Anello consentiva ai Iannazzo di controllare il territorio fino a lì, nonostante la distanza. Tonino Davoli, invece, esercitava una forma di estorsione attraverso la richiesta di assunzioni di personale». «Stillitani – racconta Pulice – era certamente sottoposto ad estorsione ma, nonostante fosse una vittima, Fruci mi raccontava che era “n’amico”, nel senso che certo che non lo avrebbe mai denunciato per una sorta di quieto vivere, era così certo di non subire danneggiamenti e magari di risparmiare sui lavori e trovava facilmente personale».

Il controllo all’ex-Sir

Pulice, poi, ha evidenziato il labile confine tra imprenditori vessati e collusi «anche loro avevano i loro guadagni» sia economici che in termini di “tranquillità”. Come quando Pulice racconta del controllo nella zona industriale dell’ex-Sir. «C’era un’attività di trasporto merci e si era creata una sorta di confederazione tra i Iannazzo e la famiglia Anello. Prima della faida del 2000 (quella tra i Torcasio e i Giampà ndr), la famiglia Anello era dedita a rubare mezzi, camion e attrezzature in quel territorio e ai Iannazzo stava bene così. Gli imprenditori secondo loro si sarebbero legati alla cosca attraverso le estorsioni e una sorta di “amicizia deviata”».

Il controesame

In aula, poi, il controesame da parte dell’avvocato di Stillitani, Vincenzo Ioppoli, teso a definire i rapporti tra il suo assistito e le cosche Anello e Iannazzo, e soprattutto per chiarire la posizione di “vittima” rispetto alle estorsioni. «Quelle di Tonino Davoli erano assunzioni imposte ai proprietari, per questo la considero una estorsione – ha precisato Pulice – l’imposizione delle forniture è un vantaggio per la cosca e in questo caso era imposto. Erano certamente sottoposti ad estorsioni». Sulla stessa linea anche il controesame degli avvocati Vincenzo Gennaro e Vincenzo Comi. (redazione@corrierecal.it)

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