Imprese cinesi “apri e chiudi”. In un dossier i rischi per il mercato (anche in Calabria)
I numeri in regione (519 attive e 245 cessate) e le indagini della gdf sull’elusione fiscale. «Capitali di origine opaca e concorrenza sleale»

LAMEZIA TERME I dati degli ultimi dieci anni sono confluiti in un dossier – l’ennesimo – della guardia di finanza. Le pagine amplificano l’allarme per i rischi dell’Opa cinese sul sistema produttivo italiano. E una tappa passa anche dalla Calabria. I numeri nel Paese: negli ultimi dieci anni, per le attività cinesi sono 58mila le partite Iva attivate e 37mila quelle cessate. In Calabria, il dato mostra 519 attive e 245 cessate. Parte di un fenomeno – le imprese in serie “apri e chiudi” – che secondo gli investigatori nasconde reati fiscali (elusione ed evasione contributiva) e altri illeciti. È una rete radicata sul territorio. E aggressiva. Le conseguenze sono «indebiti svantaggi competitivi per gli operatori in regola». È il Sole 24Ore a mettere in evidenza «pesanti ricadute sul tessuto produttivo sano del Paese». E le azioni criminali cinesi «per livello dimensionale e capillare diffusione sul territorio inducono a ritenere che sia in atto una strategia
unitaria di colonizzazione economica», ha spiegato al quotidiano di Confindustria il generale Giuseppe Arbore, capo del III Reparto del Comando generale Gdf.
Lo schema per sfuggire ai controlli

I dubbi si addensano su un reticolo di imprese a vita breve se non brevissima: la media è tre anni. Per gli investigatori, il sistema delle partite Iva nasconde una grossa movimentazione di capitali, occultati per sfuggire ai controlli dei finanzieri. Che hanno ricostruito uno schema tipo per le imprese “apri e chiudi”. Sono ditte individuali, intestate a un prestanome mentre il “vero” imprenditore è estraneo alla società o, in certi casi, un dipendente. Altra caratteristica comune è la dichiarazione di grossi debiti tributari e contributivi, che non risultano versati. Il resto sono certificazioni fiscali eluse e manodopera irregolare o in nero. Una banda larghissima di illegalità nel quale si distinguono gli imprenditori cinesi in regola. «L’impiego di capitali di origine opaca e forme evidenti di concorrenza sleale mirano alla conquista di aree di mercato sempre più vaste», spiega ancora Arbore. Le indagini in corso in tutta Italia diranno di più e chiariranno se vi sia una strategia centralizzata per concretizzare l’assalto al mercato italiano. (ppp)