LAMEZIA TERME «Sapevamo che sarebbe nato un grande resort turistico, lo abbiamo saputo da Rutigliano. C’erano all’epoca ancora le cipolle ma noi iniziammo già ad interessarci di quel terreno e così mettemmo in pratica una strategia di intimidazione».
Questo il racconto del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, classe ‘80 di Acconia di Curinga, ascoltato nel corso dell’udienza del processo “Imponimento” contro il clan di ‘ndrangheta Anello-Fruci di Filadelfia.
Tra i tanti passaggi affrontati dal pentito, in collegamento dal sito protetto e incalzato dalle domande della pm Chiara Bonfadini, c’è anche quello che riguarda gli interessi sul settore turistico nella zona costiera tirrenica che va da Pizzo a Curinga. La famiglia Anello e in particolare il boss, Rocco, era interessato al terreno in mano a Mario Fattore noto come “il bolognese”, a Curinga, dove doveva sorgere il nuovo villaggio turistico “Garden Resort Calabria” dei fratelli Emanuele e Francescantonio Stillitani, ex sindaco di Pizzo ed ex assessore regionale al Lavoro ed ai Trasporti. Entrambi sono coinvolti nell’inchiesta “Imponimento”, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
La strategia di Rocco Anello – ha spiegato Michienzi – era quella di far capire in tutti i modi che la zona per gli Stillitani sarebbe stata sicura solo se si fossero affidati alla famiglia Anello. «E allora mettemmo a segno una serie di furti nelle aziende vicine, nella zona dove doveva sorgere il resort. Sfondammo poi le porte di una villetta della zona e altri danneggiamenti». Ma non solo. Michienzi ha poi spiegato di aver compiuto altri atti di danneggiamento alle strutture del vicino “Club Med”. «Sapevamo che era in mano al clan Mancuso – ha spiegato – attraverso la famiglia Accorinti. E così decidemmo di fare anche lì furti e danneggiamenti, seguendo insomma la stessa strategia per far capire agli Stillitani che la zona sarebbe stata sicura solo se si fosse affidato a noi» senza però dare troppo nell’occhio: colpire direttamente il resort degli Stillitani avrebbe dato troppo nell’occhio.
Dopo questi episodi, il clan Anello su volere di Rocco programmò addirittura un incontro con l’avvocato, Emanuele Stillitani. «Ricordo – ha spiegato Michienzi – che era domenica. Andò insieme a Salvatore Valto e Vincenzino Fruci che mi raccontò di aver avuto la pelle d’oca. Stillitani, infatti, li aveva accolti con gentilezza ma Rocco Anello gli spiegò subito che da lui voleva 100 milioni all’anno e lo minacciò: gli disse che se non glieli avesse dati lo avrebbe sparato, una fucilata gli sarebbe arrivata “da là sopra” con riferimento a Filadelfia, ancora prima che “da là sotto”, riferendosi invece a Limbadi e dunque ai Mancuso».
La vicenda del resort si inserisce anche nel quadro delle strategie e delle “alleanze” fra clan vicini, tra cui i “sambiasini”, i Iannazzo capeggiati da Tonino Davoli. L’operazione “Prima”, che portò all’arresto di Rocco Anello, spalancò di fatto le porte all’alleato Damiano Vallelonga che diede di fatto il “benestare” a Davoli per il controllo della zona dove sarebbe sorto il “Garden Resort Calabria”. «Lo spiegammo a Rocco Anello quando lo rivedemmo in cella al Tribunale di Catanzaro. Lui si arrabbiò moltissimo ma ci disse di rimanere tranquilli e così obbedimmo. Seguimmo così l’indicazione di Rocco Anello e Vallelunga».
È ancora Michienzi a spiegare la natura dei rapporti tra gli Anello e il boss dei Iannazzo, Tonino Davoli. «Prima dell’operazione “Prima”, i rapporti con i Iannazzo non erano proprio buoni. Loro controllavano la zona dell’ex-Sir (l’area industriale ndr), avevano il monopolio delle estorsioni. Noi invece in quella zona facevamo dei piccoli furti per indispettirli». «Una volta – racconta Michienzi – rubammo un camion dell’azienda Posteraro che insieme a Gatto favoriva i Iannazzo. Dopo il “subentro” di Vallelunga e l’accordo con Tonino Davoli, ci ritrovammo alla fine a fare danneggiamenti nell’ex-Sir per contro proprio dei Iannazzo». «Come ad esempio contro l’Executive – spiega – o l’azienda dei Folino». I rapporti con la cosca Iannazzo, però, erano sempre complicati. «Nel 2002 – spiega Michienzi – i Iannazzo stavano mettendo in crisi gli imprenditori agricoli nella nostra zona. Avevamo incominciato ad intimorire i camionisti per non fargli fare i carichi. Una volta beccammo Tonino Davoli in persona che faceva addirittura desistere un camionista dal caricare il mezzo. Ricordo che fu proprio Giuseppe Fruci a beccarlo, era armato e voleva quasi sparare, ma rimase comunque spiazzato. In quel periodo Rocco Anello era furioso per questa situazione, molti andavano da lui lamentandosi». Poi però tutto cambiò dopo l’arresto di Rocco Anello e “l’accordo” tra Tonino Davoli e Damiano Vallelunga. (redazione@corrierecal.it)
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