Lucano: «Non voglio alibi e non ho paura». I legali: «Errori macroscopici in sentenza»
Conferenza stampa dell’ex sindaco di Riace con gli avvocati Daqua e Pisapia. «Processo mediatico, io rappresentato per quello che non sono»

RIACE «L’appello è un percorso quasi obbligato. Penso che il processo sia soprattutto a livello mediatico. Un conto è la sentenza, la condanna, un conto è quello che avviene fuori». Mimmo Lucano incontra i giornalisti per una conferenza stampa in cui spiega le motivazioni e le aspettative successive al deposito del ricorso d’Appello da parte dei suoi avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia. I legali hanno impugnato il provvedimento motivato in oltre 900 pagine col quale il tribunale di Locri, presieduto dal giudice Fulvio Accurso, lo ha condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione nell’ambito del processo “Xenia”. L’ex sindaco non nasconde l’emotività di questi mesi, ma sottolinea come non sia alcuna paura nell’affrontare il futuro, «tanto tutto passa in fretta». Presente alla conferenza anche l’avvocato Andrea Daqua, che assiste Lucano fin dall’inizio di questo procedimento iniziato con la notifica degli avvisi di garanzia e la successiva applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari ad ottobre 2018. Nel tempo è cambiato il “partner” per la difesa: dopo la scomparsa del compianto avvocato Antonio Mazzone, è subentrato l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, collegato in remoto all’odierna conferenza insieme al generale Gregorio De Falco, politicamente sensibile ai temi dell’accoglienza e al missionario comboniano Alex Zanotelli.
Daqua: «Confidiamo nella Corte d’Appello»
In prima battuta l’avvocato Daqua spiega i vari motivi che compongono il ricorso in appello, atto d’impugnazione di una sentenza macchiata da «errori macroscopici».
Tra questi l’utilizzabilità di alcune intercettazioni contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza “Cavallo” della Cassazione a sezioni unite. «Il provvedimento – continua Daqua – non tiene nemmeno conto di alcuni dati a discarico dell’imputato» e «modifica “in peius” il reato di abuso d’ufficio» non solo «violando il diritto di difesa», ma sconfessando quanto dalla stessa Corte affermato in ambito dibattimentale.
«Vi sono poi dei dati meramente suggestivi, come quello sulle isole Cayman, non presenti tra le contestazioni, ma riportati comunque» e «l’utilizzo di verbali di altri imputati, che era stato vietato».
Emblematico, secondo il legale, il passaggio sull’intercettazione inserita nel capo relativo alla contestazione del reato di “peculato”: «Dall’ascolto dell’audio una frase riportata non è mai stata pronunciata». Così anche l’acquisto del frantoio indicato nella sentenza come frutto della distrazione illecita di fondi quando in realtà «l’attività doveva fungere da supporto al welfare locale».
«La sentenza – conclude Daqua – va rispettata così come il principio di presunzione di innocenza. Abbiamo il dovere di confidare nella giustizia e nella terzietà del giudice. Abbiamo avuto sempre rispetto e ora lo riponiamo nella Corte d’appello, che speriamo possa rendere giustizia».

Pisapia: «Sentenza di Locri non è imparziale»
Pisapia si sofferma invece sui temi della Costituzione e della solidarietà. «Il tema del diritto, dei diritti e della solidarietà che fanno parte integrante della nostra Costituzione. Bisogna stare attenti – dice l’ex sindaco di Milano – e non pensare che siano reati condotte che apparentemente sembrano sbagliate, ma sono finalizzate in maniera positiva per la collettività». Pisapia ripercorre alcuni passaggi chiave del modello Riace ricordando che prima del suo arrivo al Comune di Milano erano attive 20 postazioni per l’accoglienza, «mentre a Riace ce n’erano 200». Ricorda la storia di Becky Moses, morta nelle fiamme dell’ex baraccopoli dopo essere stata costretta ad allontanarsi da Riace, e che «la giustizia penale è anche umana».
«Il tribunale – aggiunge quindi – non ha dato risposta al principio fondamentale di non punibilità data dall’aver agito in “stato di necessità”», causa di giustificazione riconosciuta nel codice Rocco. La realtà, riportata anche nell’atto di impugnazione, è che «la legge sull’immigrazione è un disastro».
E chiosa: «Dateci una mano per dire all’esterno quello che è stata Riace e quello che vorremmo continui ad essere». Secondo l’ex sindaco di Milano, il provvedimento del tribunale di Locri si “macchia” della non imparzialità del giudice, che «deve valutare se ci sono i presupposti di un reato. La sentenza di primo grado invece va al di là in maniera inaccettabile».
Lucano: «Sono stato rappresentato in maniera difforme alla realtà»
Dopo gli interventi di De Falco e Zanotelli, moderati dal giornalista Pietro Melia, interviene Lucano che ripercorre la storia di Riace, le vicissitudini giudiziarie e le contestazioni incassate. «La cosa sconvolgente – dice – è che poi si costruisce una narrazione distante dalla realtà. Il sistema è fatto in un modo che si parta da una intenzione e vi si costruisca attorno un processo all’interno di un’iperbole mediatica. Vieni rappresentato come qualcosa di completamente difforme dalla realtà, da quello che sei». Poi torna sui reati che compongono la condanna: «Mi accusano di abuso d’ufficio, ma quale motivo avevo se non quello di rispettare le persone, evitare che finissero in mezzo a una strada e che i loro bambini venissero cacciati dalla scuola. Si parla di truffa perché avrei mantenuto oltre il tempo consentito i migranti determinando un danno economico. Il danno economico è esattamente al contrario: se entro sei mesi tu fai finire quel progetto, lo interrompi, crei un danno economico allo Stato. Vuol dire che l’accoglienza non è servita a nulla se non ai soggetti gestori». «Per me il “soggetto gestore” è la comunità. Ho sempre pensato che l’accoglienza desse una duplice opportunità: per le persone del luogo e per quelle che arrivavano in fuga dalle guerre e dalla miseria».
«Non voglio alibi e non ho paura»
Lucano vuole evitare di definire “politico” il processo «perché poi a livello mediatico può sembrare un alibi. Ho subito 13 anni, le carte le identità le ho pagate io e lo Stato mi ringrazia in questo modo. Anche se può esserci stata una disattenzione, l’abuso qual è stato? Sembra una beffa».
In questi mesi è arrivata la solidarietà da tantissime persone «anche dagli Stati Uniti, dall’Argentina, dalla Germania. Anche i rifugiati». Ma ora si profila il secondo grado di giudizio. L’ex sindaco di Riace non si sbilancia su un’eventuale fiducia nei giudici, ma è sicuro nel dire di non avere paura «di nessuna cosa». L’unica «cosa che farebbe troppo male è quella di subire una denigrazione e una delegittimazione sul piano morale e su cose che non ho fatto». Ricorda il periodo delle indagini e quanto affermato in giudizio dall’ufficiale della guardia di finanza Nicola Sportelli: «Il sindaco non ha agito per motivi economici”. Mi hanno intercettato per due anni e non hanno trovato altro. E poi hanno fatto passare che avessi agito per motivi politici. Semplicemente non posso accettare di mettere le persone in mezzo alla strada. Ho letto gli atti del processo e anche lì è riportato che non lo facevo per una questione economica». (redazione@corrierecal.it)