LAMEZIA TERME Una vendetta consumata in meno di 24 ore. Tanto sarebbe passato, infatti, dagli schiaffi ai colpi di pistola esplosi contro un’auto. I fatti risalgono al lontano 2010 ma sono stati riportati nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Catanzaro, Barbara Saccà, relativa all’inchiesta della Squadra mobile di Catanzaro sullo spaccio di droga a Lamezia Terme.
Il contesto è proprio quello della criminalità organizzata lametina. I protagonisti, invece, sono Alberto Scaramuzzino, tra gli indagati, il defunto boss Francesco Iannazzo, e alcuni soggetti del quartiere “Razionale” di Lamezia Terme. Il racconto della vicenda è avvenuto in due distinti episodi tra marzo e maggio del 2018 nel magazzino di via Torre, a Lamezia, considerato dagli inquirenti il centro nevralgico della produzione e dello spaccio di droga a Lamezia degli ultimi anni. A parlare ai presenti, tra cui Antonio Pagliuso finito ora in carcere, è proprio Scaramuzzino, senza sapere che nel frattempo il suo racconto è intercettato dagli inquirenti.
«(…) un’altra volta – racconta Scaramuzzino – andiamo all’Ayers, Chicco stava all’Ayers, Chicco aveva l’Ayers, Antonio Voci esce e mi da due schiaffi a me e Francesco (Iannazzo ndr) Ciccio esce pazzo! (…) c’era ancora Giuseppe, andiamo là, “Giusè vedi che ha fatto questo, questo e quello, la macchina, io al balcone…di sopra sotto, te, una confidenza che ti sto facendo». «A me – racconta ancora – mi ha dato uno schiaffo e Francesco gli ho dato un calcio, ma lui non centrava un cazzo, ci eravamo litigati io e Francesco con forse ricordi, quelli del Razionale (…) e li abbiamo sfondati, è arrivato lui…bum!… mi dà uno schiaffo e a Ciccio un calcio, Ciccio è uscito pazzo! Domè…è andato a parlare con “cristiani seri” il giorno dopo!».
Dalle conversazioni intercettate, secondo gli inquirenti, emerge dunque il danneggiamento dell’auto di Antonio Voci a colpi di pistola, un atto ritorsivo per vendicarsi dell’affronto subìto, pubblicamente, la sera prima nel locale, ma solo dopo aver ottenuto il “benestare” di Giuseppe Giampà, all’epoca considerato il reggente dell’omonima cosca di ‘ndrangheta. L’episodio è stato effettivamente denunciato da Voci il 14 ottobre del 2010: 9 i colpi di pistola calibro 7.65 sparati contro la Fiat Grande Punto intestata alla moglie.
Ma, nel corso della discussione captata nel magazzino di via Torre, è emerso un altro dettaglio: a consegnare l’arma ad Alberto Scaramuzzino sarebbe stato, infatti, Antonio Pagliuso. È lui a confermarlo, parlando dell’arma ancor prima che Scaramuzzino avesse precisato l’episodio. «(…) so tutto io, con la 38 gli avete sparato, so tutto! La 38 lo sai di chi era? Eh! Gliel’ho data proprio buona! la 38 era mia!». Per il gip si tratta, dunque, di un episodio riconducibile ad un tipico contesto di ‘ndrangheta. Dagli schiaffi alla reazione, violenta, sotto forma di intimidazione. Una ritorsione efficace e rapida, all’ombra dei due, ormai defunti boss, Vincenzo e Francesco Iannazzo. (redazione@corrierecal.it)
x
x