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Storia di un sopravvissuto alla guerra della sanità e del sistema che (non) lo assiste

“Scaricato” da un reparto oncologico in Calabria, salvo per miracolo e poi dimenticato da Inps e Servizio sanitario. L’odissea di un paziente

Pubblicato il: 10/03/2022 – 17:58
di Emiliano Morrone
Storia di un sopravvissuto alla guerra della sanità e del sistema che (non) lo assiste

Gilberto, nome di fantasia, è un sopravvissuto a quella guerra della sanità che ha disfatto la Calabria. Negli ultimi dodici anni, tagli di risorse, scontri istituzionali, livori nella dirigenza, arbìtri, silenzi, omissioni e clientele hanno ridotto il sistema sanitario in macerie.
Alla madre di Gilberto avevano detto di rassegnarsi: di pensare a funerali e sepoltura del ragazzo, punto. Nel corridoio di un reparto calabrese, di squallore inusitato, gli oncologi erano stati crudi e distaccati: «Niente da fare, gli resta poco, una settimana, al più un mese. Lo porti a casa, qui abbiamo altri pazienti da accompagnare alla morte». Ma la donna aveva dubitato: non si era fidata di quella sentenza sbrigativa, di condanna e autoassoluzione perentorie.
Provava rabbia e dolore insieme, quell’anziana vedova, già segnata dall’emigrazione sanitaria del figliuolo, operato fuori regione, e dalla perdita del marito, consumato da un tumore scoperto troppo in là. La signora aveva visto l’indifferenza cronica degli infermieri di quell’Oncologia dall’aspetto del lager. Li aveva osservati mentre si asserragliavano in uno stanzino per guardare le partite di pallone; inverecondi, coperti, spavaldi quando venivano chiamati per le medicazioni, le terapie, il cambio della flebo. Aveva imparato a sopportare il brutto assoluto di quella divisione oncologica, forse più inquietante della malattia del figlio. Aveva accettato di procurarsi una sedia pieghevole al mercato abusivo delle sdraio, in modo da dormire accanto al suo Gilberto, ricoverato in una camerata ospedaliera senza bagno né aria. Si tratta di una tradizione in Calabria, tranne per chi può pagare un Oss, a nero, che assista il proprio familiare nell’oscurità della notte. Il vuoto è totale in questi casi: di assistenza, di decenza e spesso finanche di pietà.
Ferita ma non vinta, la madre si risolse come ogni mamma. Trovò un ospedale del Nord per tentare il miracolo. Gilberto ci andò di corsa in ambulanza privata. Lì gli amputarono una gamba e in pancia gli tolsero l’impossibile. L’intervento durò sedici ore, con trasfusioni continue e i chirurghi infine increduli, sfiniti insieme agli anestesisti e all’intero personale di sala.
Il giovane era entrato che il cancro gli stava invadendo l’addome dal bacino, infiltrandosi nelle viscere, nella vescica, in un rene, fino a comprimere, forse a colonizzare, vena e arteria iliaca di un lato. Gilberto ne uscì vivo, tornò in Calabria, ma tra burocrazia e inettitudine diffuse non ebbe un posto, manco uno, in struttura riabilitativa. Fece fisioterapia a domicilio e con tanta forza d’animo accolse la sua condizione di dipendenza dalla madre.
Poi l’Inps lo colpì nel profondo. Lo giudicò rivedibile malgrado l’evidenza. Quindi gli sospese l’assegno di accompagnamento per diversi mesi, affermando di non averne ricevuto le Pec e pretendendo che il ragazzo si presentasse a visita da solo, in piena emergenza Covid e senza copertura vaccinale per l’indisponibilità di dosi. È tutto vero, al di là del nome usato per motivi di riservatezza.
Ora il giovane è sottoposto a controlli periodici, ma per la Tac conta sulla buona volontà di alcuni addetti, che comprendono e lo aiutano. Nell’ospedale più vicino alla sua residenza le prenotazioni sono sospese dallo scorso novembre, mancano specialisti e il primario radiologo supplisce in prima persona.
La morale è la seguente. Il Servizio sanitario calabrese non garantì la prevenzione al padre di Gilberto, che dovette partire per combattere il male, fino a spirare. Il Servizio sanitario calabrese spedì Gilberto fuori sede: per ben tre volte, con tutti i costi conseguenti. Oggi, il Servizio sanitario calabrese, già inadempiente, non è in grado di prendere in carico il ragazzo, che deve fare da sé insieme alla madre e a quei sanitari che per coscienza e responsabilità gli danno una mano, nonostante siano sovraccarichi di lavoro.
Spero che il ministro Roberto Speranza e il commissario Roberto Occhiuto si commuovano e intervengano. Non possiamo spiegare a Gilberto, a sua madre e ai tanti calabresi in condizioni simili, processi e algoritmi sanitari che al momento non cambiano le loro esistenze.

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