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La relazione

Comuni sciolti per mafia, «gestioni commissariali poco attente» soprattutto in Calabria

Misure anticorruzione poco attivate. Scarsi controlli e tanta strada da percorrere nella trasparenza. Bocciatura dell’Antimafia

Pubblicato il: 18/05/2022 – 7:06
di Roberto De Santo
Comuni sciolti per mafia, «gestioni commissariali poco attente» soprattutto in Calabria

CATANZARO Poca trasparenza delle attività istituzionali, poco controllo delle informazioni nella fase di affidamento di appalti per la fornitura di beni o servizi come anche assenza dell’obbligo di pubblicare sul sito internet l’elenco dei beni confiscati. Ed ancora mancato rispetto del ciclo di programmazione dei bilanci, nonostante spesso gli enti si trovino in condizione di dissesto o pre-dissesto. Senza contare, inoltre, la mancanza di stabilità e continuità nell’incarico del Responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza (Rpct) e la «singolare» circostanza della pressoché totale mancanza di segnalazioni relative a fenomeni corruttivi. Sono alcune delle criticità emerse nel corso dell’indagine svolta dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e riportata nella “Relazione sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza nei Comuni sciolti per mafia”.
Carenze ed anomalie rese ancora più gravi se si consideri che riguardano proprio l’attività che dovrebbe essere portata avanti dalle commissioni nominate per gestire i comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, cioè dunque direttamente funzionari dello Stato.
E la Calabria da quanto emerge dal documento redatto dalla Commissione Antimafia, presieduta da Nicola Morra, ne esce decisamente male. Un aspetto che non poteva essere diverso, visto che è la regione che detiene il triste record nazionale di Comuni sciolti per mafia. Il 35% degli enti finora commissariati in Italia ricadono in Calabria.  Ed i dati presenti nella relazione indicano come quelle criticità investano direttamente i Comuni commissariati nella regione.

Misure anticorruzione

Passando in rassegna i dati redatti dai Responsabili per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza (Rpct) e relativi alle misure anticorruzione adottate nei comuni sciolti per mafia, emerge che la «scarsa attenzione ai profili della trasparenza». Ed in particolare il numero di enti che verificano la gestione del rischio corruttivo è minore in Calabria. Solo poco più della metà dei Comuni commissariati, nonostante gli obblighi di legge, verifica la sostenibilità di tutte le misure obbligatorie (generali) e ulteriori (specifiche) contenute nel Piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC). Ed ancora più «singolare» è il fatto che gran parte dei comuni sciolti per mafia (il 78 per cento) non è stato riportato alcun evento corruttivo. Un dato che diviene nel caso calabrese ancor più eclatante. Dei 18 Comuni valutati dalla relazione solo Pizzo ha segnalato un evento corruttivo.
Secondo quanto riportato nella Relazione, anche le altre misure adottate per prevenire fenomeni corruttivi nei comuni calabresi sottoposti a commissariamento hanno riguardato appena la metà degli enti.

Siti “poco” trasparenti e personale ancora non formato sulla prevenzione

Scandagliano i dati sulla pubblicazione sul sito internet istituzionale nella sezione “Amministrazione trasparente” delle informazioni obbligatorie, la Relazione sottolinea come poco più di 7 Comuni su 10 sciolti per mafia in Calabria hanno adempiuto al servizio.
Così come soltanto il 56% dei Comuni ha avviato corsi di formazione del proprio personale per la lotta alla corruzione. Per la verità in questo senso ha fatto peggio la Campania con appena il 29% degli enti commissariati.

Rotazione del personale

La rotazione del personale è come sottolinea la relazione, una «misura organizzativa preventiva, finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza nel tempo di determinati dipendenti nel medesimo ruolo o funzione». Ebbene emerge che nei Comuni sciolti per mafia, quelli cioè in cui questa premura dovrebbe essere maggiore, questa rotazione resta una chimera. In Calabria ad esempio il 5,6% del personale presente nell’ente ha cambiato funzione. Anche se in questo caso, gli estensori della relazione fanno risalire questo fenomeno all’«esiguità delle risorse presenti soprattutto a livello dirigenziale» che rende oggettivamente difficoltoso adempiere a questa misura.

Le anomalie nell’affidamento di incarichi

Valutando poi i dati relativi inconferibilità, incompatibilità e autorizzazione agli incarichi esterni vengono fuori altre anomalie tra i Comuni commissariati. Il controllo della veridicità delle dichiarazioni di insussistenza di cause di «inconferibilità» è stato effettuato solo nel 53% dei comuni sciolti per mafia. Una percentuale in Calabria sale al 56%. Così come anche nel caso di controlli per l’incompatibilità il tasso di verifiche è stato del 56%. Meglio solo la percentuale di controlli relativa agli affidamenti esterni: 83%.

Poca attenzione per i dipendenti che denunciano

Per contrastare fenomeni corruttivi utile dovrebbe essere utile adottare misure per garantire l’anonimato dei dipendenti pubblici che denunciano episodi illeciti. Anche in questo caso la Calabria assieme alla Campania accusa qualche ritardo. Sono infatti le due regioni in cui sono meno presenti comuni che hanno adottato una procedura per ricevere le segnalazioni di illeciti da parte dei propri dipendenti. In Calabria ad esempio la percentuale tra gli enti commissariati è pari all’89% rispetto alla totalità dei Comuni siciliani, pugliesi, lucani e valdostani. Peggio il dato sul meccanismo che garantisce l’anonimato: solo il 22% dei comuni calabresi ha adottato questo sistema. Da qui con molta probabilità, la motivazione che non è stato segnalato alcun illecito.
Mentre il dato sul Codice di comportamento adottato dai comuni commissariati emerge che soltanto un ente tra quelli passati a setaccio non l’ho ancora recepito.

«Attività di prevenzione trascurabile, e non accettabile»

«L’approfondimento compiuto ha evidenziato innanzitutto che le molteplici previsioni normative e le misure apprestate dall’ordinamento per prevenire i fenomeni corruttivi, e prime fra queste quelle volte ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa, sono ampiamente trascurate se non addirittura obliterate, non soltanto prima dello scioglimento ma anche successivamente nel corso del periodo di gestione straordinaria». Suona così come una sonora bocciatura l’esito dell’indagine avviata dalla Commissione parlamentare antimafia sulle gestioni straordinarie dei Comuni sciolti per mafia. Una bocciatura ancor più chiaramente esposta in un altro passaggio della Reazione dell’Antimafia: «la mancanza di attenzione alla trasparenza e alla prevenzione dei fenomeni corruttivi non sia accettabile in quelle realtà amministrative la cui pregressa attività è stata inquinata e condizionata e che si cerca di ricondurre alla legalità attraverso l’azione delle gestioni commissariali».
Un modo per sottolineare come lo Stato in termini di commissariamento degli enti abbia in qualche modo fallito la sua missione. Non riuscendo a far rispettare obblighi e disposizioni di legge. Ed in una terra ad elevato rischio di infiltrazione mafiosa come la Calabria, getta un’ombra inquietante sul modo di gestire la cosa pubblica. (r.desanto@corrierecal.it)

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