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«Quel sangue di Tortora macchiato dal vento»

Trentaquattro anni fa moriva, per un cancro, Enzo Tortora, personaggio televisivo straordinario, colto e unico nel suo genere, che mai avrebbe immaginato di incarnare il ruolo perenne di martire d…

Pubblicato il: 18/05/2022 – 10:50
di Mario Campanella*
«Quel sangue di Tortora macchiato dal vento»

Trentaquattro anni fa moriva, per un cancro, Enzo Tortora, personaggio televisivo straordinario, colto e unico nel suo genere, che mai avrebbe immaginato di incarnare il ruolo perenne di martire dell’ingiustizia più bieca.
Aveva appena avuto il tempo, qualche mese prima, di tornare a condurre Portobello su Rai due, dopo 4,massacranti anni di sofferenza immane dovute alle aberrazioni di un sistema stritolante.
Fu arrestato, com’è noto, il 1983, per le rivelazioni di un pentito, e accusato di avere rapporti contigui con la camorra, della quale era una sorte di socio occulto. Accuse così palesemente ridicole che pure il codice Rocco, nella sua limitatezza, avrebbe smontato.
Inutile ripercorrere dettagliatamente il suo calvario giudiziario, fatto di detenzione, condanna e assoluzione, perché nemmeno Beckett o Kafka avrebbero potuto inventarsi una storia così tragica.
Nel corpo martoriato dal tumore, la sofferenza di un sacrificio a una battaglia rimasta solitaria, perdente, utopica. Si, perdente. Perché il risultato del referendum dello stesso anno, promosso dai radicali che lo elessero parlamentare europeo e sostenuto da Craxi, non trovo ‘mai applicazione concreta nonostante l’enorme consenso popolare.
Cos’è cambiato in sei lustri su garantismo e giustizia giusta? Niente, e niente presumibilmente cambierà a breve, se appare scontato il mancato raggiungimento del quorum ai quesiti che radicali e leghisti hanno posto.
Qualcosa, di fatto, è mutato da allora :la politica ha ceduto la diga dell’indipendenza e della separazione delle funzioni a una magistratura che non viene rispettata ma silenziosamente ossequiata, anche quando travalica i suoi perimetri.
E così Tortora, dipinto metaforicamente come il San Sebastiano trafitto del Caravaggio, è un totem che ispira citazioni inopportune, promesse di riforme mai avvenute, fragilità di un apparato politico che ha perso contatto con il popolo ed è stato inghiottito dalla voracità del qualunquismo.
Scomparsi gli altri grandi protagonisti di quella stagione, da Mauro Mellini a Marco Pannella, l’architrave dell’impalcatura istituzionale è rimasta identica.
Battaglie di garantismo non se ne fanno più ed anzi, dal traffico di influenze illecite (voluto dall’Europa e dal Pd) alla legge Severino, sono state rafforzate le interdizioni preliminari su una politica renitente, che ubbidisce e si macchia di un veleno contaminante ma non reagisce.
La storia della lotta al terrorismo porta innumerevoli casi Tortora (basterebbe citare Valpreda) ma accomuna il partito unico del silenzio in una resa senza condizioni.
Oggi le crisi endogene e internazionali mostrano un Paese ancora più spaccato ma affamato di giustizia giusta.
E così Tortora è sulla bocca di innocenti e delinquenti, nell’atteggiamento di indifferenza collettiva che abdica volontariamente al bene supremo della libertà in ragione di un’accondiscendenza silente.
Anche per questo, forse, Enzo Tortora è morto invano.

*giornalista

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