CORIGLIANO ROSSANO La ferita lasciata dalla soppressione del tribunale di Rossano – a distanza di dieci anni – brucia ancora. Brucia sulla pelle dei cittadini della Sibaritide, privati di un presidio di legalità e irrita ancor di più in questo periodo storico, in cui si sta registrando una recrudescenza criminale sul territorio di intense proporzioni.
L’accorpamento dello storico palazzo di giustizia rossanese, già sede di Corte d’Assise, al foro di Castrovillari, ancora oggi rappresenta una «forzatura» che ha condizionato il servizio giustizia, dilatando costi e tempi: esattamente tutto il contrario di quanto auspicato con quella manovra del 2012, se è vero com’è vero che Rossano ha portato in dote a Castrovillari procedimenti giudiziari – soprattutto penali – per un rapporto di 1 a 4.
Recentemente l’ex magistrato Luca Palamara, giunto a Corigliano Rossano per presentare il suo libro ha spiegato le dinamiche del tempo per giungere a quella conclusione.
La soppressione del tribunale di Rossano, quindi, brucia, perché viene avvertita come un’ingiustizia ai danni del territorio, anello debole della catena, nonostante la filiera istituzionale – amministrazione comunale, regione, governo – fossero d’un sol colore.
La faccenda ha lasciato cicatrici anche sulla pelle di Giovanni Dima, già deputato del Popolo della libertà in quegli anni, oggi membro dell’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia, finito in mezzo al fuoco incrociato di avversari e – come spiegherà – della sua stessa corrente politica. Una macchina del fango che ha scaricato sull’ex assessore regionale tutta la responsabilità storica degli eventi.
In un’intervista al Corriere della Calabria Giovanni Dima ha raccontato la sua versione dei fatti, a distanza di dieci anni.
Le imputano le responsabilità sull’allora chiusura del tribunale di Rossano. A quel tempo lei era un deputato della Repubblica del Popolo della Libertà che sosteneva il governo Monti. E la “manovra” attorno ai cosiddetti “tribunalini” era iniziata col governo Berlusconi.
«È la classica banalità tipica di chi non ha saputo leggere il contesto storico che ha prodotto la chiusura del tribunale. Ed è l’atteggiamento di una realtà che tende a scaricare su un capro espiatorio tutte le responsabilità, quasi a consolarsi di ciò e sottraendosi dalle responsabilità. La faccenda mi ha certamente ferito perché l’operazione è stata scientificamente organizzata da ambienti vicini a me, dello stesso ambito politico. A parte l’azione leale e determinata dell’allora sindaco Giuseppe Antoniotti, la chiusura del tribunale è stata strumentalizzata da vili; il quadro denigratorio, la canea è stata prodotta soprattutto dal versante interno e la lettura della situazione è semplice, anche a distanza di dieci anni.».
La sera prima che fosse firmato il decreto di revisione della geografia giudiziaria lei informava della salvezza del foro di Rossano. Dalle 20 al mattino successivo, cos’è accaduto?
«È successo quello che ha descritto Luca Palamara nel corso della presentazione del suo libro in città. L’ex magistrato ha espresso con certezza la sussistenza di un gruppo di potere, una lobby, che determinava ogni cosa in ambito giudiziario, dalle carriere dei giudici, alla revisione delle circoscrizioni con le pressioni anche di chi in quegli anni doveva fare carriera. Quel gruppo di potere trasversale ha attuato tutta una serie di decisioni. Per dirla tutta, e per sconfiggere la banalità e la malafede, non ho mai fatto parte di lobby finanziarie e massoniche».
Le rimproverano di aver votato la legge di delega al governo.
«La revisione della geografia giudiziaria doveva per forza passare da una legge delega al governo. In quel provvedimento, però, non c’era la lista dei tribunali che avrebbero soppresso. Abbiamo approvato un principio di carattere generale che qualcuno ha mal interpretato, fomentando».
Si parlava della chiusura del palazzo di giustizia rossanese sin dagli anni ’80 e ’90.
«Il tribunale è stato più volte a rischio perché c’erano tutta una serie di indicatori negativi che conducevano a quella conclusione. Ma non vi è dubbio come la soppressione sia stata una forzatura politica dell’ultimo secondo. Cosenza, chiaramente tende a preferire i rapporti con Castrovillari o con Paola. Lo stesso Palamara, con una battuta impropria, ha detto “ma chi vuoi che vada a fare il magistrato a Rossano?”. C’era un immaginario collettivo, gravato dal gap infrastrutturale e luoghi comuni legati alle inefficienze da sconfiggere. Il fatto stesso che a Rossano la pianta organica dei magistrati non sia mai stata al completo dimostra quanta scarsa considerazione c’era nei confronti del palazzo di giustizia».
È certamente stata una forzatura l’accorpamento di un tribunale quattro volte più grande – in termini di volume di cause soprattutto penali – ad uno più piccolo. E ciò ha determinato gravi carenze nel sistema giustizia: distanze abissali, spazi angusti, rinvii…
«In Calabria c’è sete di giustizia ed i territori devono essere presidiati adeguatamente. Sarebbe semplice elencare tutta una serie di delitti che abbiamo registrato nella Sibaritide in questi ultimi anni, ma una cosa è certa: una realtà come la nostra ed una città di 80mila abitanti, non può rimanere sguarnita di un presidio di giustizia. Dobbiamo avere le idee chiare. Intanto lavorare per il ripristino del tribunale, e l’iniziativa del consiglio regionale della Calabria mi fa ben sperare, anche perché ci sono altre sei regioni che hanno deliberato per impegnare il governo a rivedere le circoscrizioni giudiziarie. Il coordinamento nazionale, dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Calabria alla Campania, all’Abruzzo, Veneto e Toscana, mi sembra si stia incamminando verso la giusta direzione. La decisione assunta dieci anni fa è stata sbagliatissima, nata da logiche perverse di cui sono stato anche vittima nell’ottica delle candidature alle Politiche 2013 (Dima fu ricandidato ma in posizione non utile, ndr). La limitatezza degli spazi del tribunale di Castrovillari ha fatto esplodere il bubbone che avevamo paventato: concentrare in un solo sito due realtà, una molto più vasta dell’altra, avrebbe creato enormi problemi».
Guardiamo al futuro, quindi all’istituzione del tribunale di Corigliano Rossano, anche in una nuova struttura ad Insiti, come ha immaginato chi ha progettato alla fusione. Lei che conosce le dinamiche parlamentari, evitando di alimentare facili entusiasmi, lo considera possibile?
«La mia preoccupazione deriva dai tempi della legislatura ormai in scadenza a febbraio prossimo. Le Camere saranno sciolte probabilmente uno, due mesi prima e stiamo andando incontro all’estate. Il percorso temporale è, quindi, molto ristretto. Sarebbe auspicabile che le regioni che hanno approvato lo stesso modello di legge che impegna il governo, facessero con i relativi presidenti pressioni sul governo stesso per incardinare la discussione in commissione e quindi in aula. In via teorica sarebbe possibile. Se invece ci si affida al percorso naturale della calendarizzazione dei provvedimenti in Parlamento, non basterà il tempo a disposizione di questo governo. Ma se i sette presidenti di Regione, attraverso un coordinamento, chiedono al presidente del Consiglio dei ministri una via prioritaria legata al ripristino di alcuni tribunali, allora la vicenda potrebbe trovare una sponda utile entro la fine della legislatura. Auspicherei, quindi, che Roberto Occhiuto assumesse la presidenza di questo coordinamento per aprire una interlocuzione col presidente della Camera dei Deputati e con Mario Draghi. Chiaro, tutto dipenderà dalla volontà politica del governo, dall’impegno dei parlamentari che rappresentano questo territorio, dai consiglieri regionali che potrebbero anche loro coordinarsi coi loro colleghi delle altre regioni. In altri termini, deve svilupparsi una forte azione politica, così come ha promosso Fratelli d’Italia nel recente convegno tenutosi a Corigliano Rossano, in cui abbiamo auspicato l’apertura di una discussione ampia, senza pregiudizi, tant’è che sono intervenuti rappresentanti di tutti i partiti, anche non appartenenti al centrodestra, per poter raccogliere una certa disponibilità. Dieci anni fa non c’era questo clima di solidarietà, ognuno lavorava per sé stesso ed in modo sleale».
Secondo lei, relativamente alla vertenza tribunale, l’amministrazione comunale in carica avrebbe potuto fare di più?
«Un’amministrazione comunale non ha un contorno di supporto regionale e nazionale può fare ben poca cosa». (l.latella@corrierecal.it)
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